Santa Maria Capua Vetere
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SAN TAMMARO - (di Nando Cimino) San Tammaro è il paese sul cui territorio risiedono alcune tra le più importanti testimonianze della capacità economica, politica e sociale dei Borbone. Eredità architettoniche, storiche e culturali di straordinaria portata per anni mortificateo, come accade nell’ultimo periodo, usate per spot pubblicitari o per interessi che la storia ci aiuterà a definire. San Tammaro è anche il paese in cui nacque, nel 1795, Domenico Capitelli, tra i più importanti giuristi italiani del primo ‘800, che fudeputato di Terra di Lavoro, eletto con voto plebiscitario. Lo stesso suffragio lo ottenne anche nelle circoscrizioni napolitane, ma scelse, per amore della sua terra, di abbracciare il mandato casertano. Fupresidente dell’assemblea governativa del 1848 e autore di volumi in materia giuridica, di straordinaria importanza, ma, gli stessi tammaresi, del loro illustre cittadino, che oggi giace sepolto nel cimitero dei Colerosi di Napoli tra detriti e spine, sanno poco o niente.San Tammaro è erede anche di un’altra perla: l’opera pittorica di Alessandro D’Anna, a tempera su carta con tecnica a gouache, dal titolo, “Donna di San Tammaro”. E’ il ritratto che il pittore nato a Palermo nel 1746, eseguì per volere del re, Ferdinando IV. Sull’opera di D’Anna, occorre ricordare il saggio scritto dallo storico locale, Michele Mingione, dal titolo, “Costume della Donna di San Tammaro nel 18° Secolo.”. Una precisa opera letteraria cui ha fatto seguito quella della locale associazione culturale, F.I.D.A.P.A., che materialmente ha ricostruito con precisa fedeltà in ogni particolare, il costume tradizionale dipinto dal maestro di corte. Quello di San Tammaro fu anche il popolo che, nelle cruenti fasi della “Battaglia del Volturno”, intimorì Garibaldi che temeva inoltrarsi per i vicoli del paese, chè troppo brave erano quelle genti nell’uso del coltello. Scontri violenti avvennero nei tenimenti tra San Tammaro e la vicina Santa Maria Capua Vetere e molti giovani, fedeli al loro re e alla loro terra, perirono con onore. Di loro, però, manco a dirlo, non v’è alcuna traccia negli annali della comunità che, oggi e solo oggi, “riscopre” la Casata reale. Sul territorio comunale, a poca distanza dal centro abitato, in zona Foresta, si erge la delicata e maestosaReal Tenuta di Carditello. Quella fattoria borbonica settecentesca, voluta da Carlo III di Borbone per l’allevamento delle reali razze equine, fu gradualmente trasformata da Ferdinando IV, suo figlio, nella più moderna azienda agricola europea. Numerosi sono anche i palazzetti settecenteschi, che arricchiscono il centro storico e il corso principale del paese. La cittadina sull’Appia ha anche avuto importanti campioni di ciclismo a livello nazionale e internazionale; Giuseppe Di Sciorio e Antonio Valletta, per citarne alcuni, costretto, quest’ultimo, a lasciare quella striscia d’asfalto, che tante volte l’ha visto tagliare il traguardo esultante, per cercare fortuna altrove. San Tammaro è il paese dove si moltiplicano le attività delle tante associazioni sportive e culturali, spaccate da discutibili scelte politiche. La locale Pro-Loco è trasformata in un modesto circoletto, la cui massima, per quanto gustosissima espressione, sta nella sagra delle “pettole e fagioli”: ottima cosa senza dubbio, ma, magari, andrebbe affiancata anche alle attività di rilancio culturale e promozione del territorio, proprie della Pro-Loco, unico organismo associativo istituzionalmente deputato a tali scopi.A smentire le “sciacquate di bocca”, con cui qualcuno, “sente la Casata”, e rilancia sul Real Sito di Carditello, sono i fatti. Nel centro del paese, fin dal 1789, esiste una fontana con cinque cannelle; sfregiata, abbandonata e vilipesa. Riedificata nel 1842 dal municipio di San Tammaro, è nota con il nome, “Le Cinque Fontane”. Dal delicato stile neoclassico è stata lacerata dall’incompetenza e dall’arrogante superficialità di chi ha lasciato che ciò accadesse, rendendosi correo di un atto gravissimo, che da solo smentisce, appunto, il presunto attaccamento all’opera dei Borbone e per il quale, c’è da scommetterci, non pagherà nessuno. A tergo della seconda fontana, dalla cui cannella spezzata dovrebbe sgorgare l’acqua fresca e cristallina, alimentata dalla sua stessa cisterna, è stata collocata la manopola di un rubinetto, uno di quelli che si usavano nei bagni numerosi anni fa, a mo’ di chiave d’arresto. Per fare quest’accrocco, stomachevole persino alla vista, la spalletta modellata in pietra arenaria del 1842, che sul fronte alloggia una bronzea testa di leone dalla cui bocca dovrebbe sgorgare liberamente l’acqua, è stata letteralmente sventrata. Il canale scavato nell’indifesa fontanina è stato poi richiuso col cemento, come se niente fosse. In un paese civile non andrebbe sanzionato chi ha eseguito l’accrocco, che pure avrebbe la sua responsabilità, ma, in primis, andrebbe ricercato e perseguito il mandante di questo delitto contro un monumento, che va ben oltre la città di San Tammaro, per il suo valore storico, politico e sociale, essendo il primo esempio, dal 1789, di acqua come bene pubblico, voluto da quella Casata di cui si blatera senza saperne assolutamente niente, e questo sfregio lo dimostra.Le Cinque Fontanedovrebbero essere protette dai vincoli architettonici e paesaggistici, ma, a quanto pare, non gliene frega niente a nessuno. Va, però, ricordato, che un progetto esecutivo per il restauro del monumento settecentesco, esiste. Nel 2015, l’assessore alla cultura e alle politiche sociali, Rossella Bovienzo, tentò una sortita organizzando e presentando un interessante elaborato per attingere ai fondi regionali. Purtroppo, per quanto valido, nella scala delle priorità di quella amministrazione regionale, il progetto della Bovienzo finì intorno alla trentesima posizione, restando escluso dai finanziamenti pubblici. C’è anche un altro nodo da sciogliere, circa la povera fontanella: che fine ha fatto la cisterna che dovrebbe alimentarla, citata anche nella lapide commemorativa del 1842? E ancora: sono sufficienti un soffritto o un piatto di pasta e fagioli, per quanto ottimi e succulenti, a ricordare la “Casata”? Temiamo di no!