Classica
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Essere musicisti in Russia fino alla meta dell’Ottocento non era cosa facile. Non che la musica fosse ignorata dalle classi colte e dalle corti nobiliari, poiché già nel corso del Settecento esse avevano accolto e onorato grandi compositori, come Galuppi e Palslello, e da tempo frequentavano con passione il grande Teatro Imperiale di Pietroburgo nelle sfarzose serate in cui si esibivano prevalentemente compagnie italiane. Non esisteva, però, nell'immenso paese slavo una tradizione di musica colta. Piccole compagnie locali di suonatori, messe su alla meglio e composte prevalentemente da servi, erano vendute, comprate e affittate per allietare ricorrenze, feste familiari e simili occasioni da parte dei proprietari terrieri. Dei melismi di origine bizantina, che avevano influenzato la musica sacra russa, vi era traccia, naturalmente, ma non al di fuori degli ambienti legati alla chiesa. Tutto avrebbe pensato, quindi, Ilja Petrovic Ciaikovsky, ingegnere minerario, direttore delle miniere di Votkinsk, del suo terzo figlio, Piotr, quando lo vide venire alla luce il sette maggio del 1840 nella sua casa poco lontana dagli Urali, tranne che questi sarebbe diventato uno dei maggiori compositori della storia della musica. Ilja, dopo un precedente matrimonio, dal quale era restato vedovo con una figlia, Zinaida, aveva sposato nel 1833 Alexandra Andreievna D'Assier, di origine francese, e quest’ultima gli avrebbe  dato cinque figli: Nicolai, Piotr Ilic, Alexandra (poi soprannominata Sasa) e due gemelli, Anatoly e Modest. La famiglia Ciaikovsky apparteneva a quella borghesia medio-alta che forniva allo stato impiegati e burocrati e che poteva permettere ai propri rampolli un regolare corso di studi, seppure talvolta con qualche sforzo economico. La vera passione di Piotr si manifestò subito: la musica. Le prime lezioni di pianoforte gliele diede la madre ma, al tempo stesso, era Piotr a studiare da autodidatta riprendendo al pianoforte le arie di Rossini e di Donizetti, che sentiva e registrava con la sua formidabile memoria. Resisi conto delle non comuni attitudini del figlio, i genitori gli procurarono una insegnante di piano, peraltro piuttosto modesta, una certa Maria Markovna, serva della gleba emancipata. La serenità di questa prima infanzia doveva essere interrotta nel 1848. Ilja Ciaikovsky, infatti, in quell’anno decise di dimettersi dal suo incarico e di trasferirsi a Mosca per assumerne un altro di maggior prestigio. Le cose però andarono male: in città infuriava il colera e il posto promesso a Ilja risultò essere stato già occupato. A questo punto si decise un nuovo trasferimento a Pietroburgo, dove Nicolai e Piotr furono messi in un buon collegio, mentre il resto della famiglia si allontanava, avendo Ilja trovato lavoro in una località vicino al confine con la Siberia. Furono anni duri per Piotr. Nella capitale imperiale i due giovani venuti dalla provincia erano spesso oggetto di scherno per la loro limitata cultura e i loro modi, e il futuro musicista soffriva particolarmente la lontananza della madre. Quest'ultima venne a trovarlo nel 1850 per iscriverlo alla Scuola di Diritto di Pietroburgo e al momento del distacco Piotr subì una vera e propria crisi nervosa. Le lezioni di pianoforte di un certo Filippov gli fecero fare enormi progressi e l’assistere alla stagione operistica del teatro di Pietroburgo alimentò la sua passione  principale: il teatro musicale. Nel 1852 la famiglia poté riunirsi nella capitale poiché Ilja decise di andare in pensione, ma la serenità riacquistata doveva avere breve durata. Nel 1854, infatti, moriva di colera la madre. La Scuola di Diritto e gli studi musicali riempirono il periodo che lo separava dalla maggiore età. Per il pianoforte si affidò a Rudolf Kündinger, il quale, benché ne apprezzasse le doti, gli sconsigliò la carriera di musicista, troppo dura in Russia. Nel 1859 terminati brillantemente gli studi, dovette entrare nel mondo del lavoro: un posto di impiegato di prima classe al Ministero di Giustizia era la sua destinazione. I grigi uffici del Ministero non erano certo il posto adatto per Piotr.  Cattivo impiegato fin dall’inizio, rimproverato costantemente dai superiori, faceva trascorrere l’orario lavorativo in attesa che si facesse sera per potere andare a teatro ad assistere a opere italiane e balletti, o per frequentare i salotti della capitale, dove era conosciuto come «il gentil Piotr» per la grazia con cui suonava il  pianoforte. Tuttavia era necessario stringere i denti anche perché il padre, a seguito di una speculazione sbagliata, aveva perduto tutto, era tornato a lavorare come direttore presso l'Istituto di Tecnologia e non poteva permettersi di mantenerlo. Proseguendo nei suoi studi musicali incominciò a prendere lezioni da Nicolai Zaremba, poi, quando nel 1862 Anton Rubinstein fondò a Pietroburgo il primo conservatorio russo, vi si iscrisse seguendo sia i corsi di Zaremba, sia quelli di composizione di Rubinstein. Contemporaneamente cominciò a dare lezioni di pianoforte e di composizione che Rubinstein gli procurava e si fece strada nella sua mente l’idea di abbandonare il suo posto di impiegato per darsi totalmente alla musica. La famiglia al completo, tranne il fratello maggiore Nicolai, lo sostenne in questa decisione e nella primavera del 1863 il grande passo era compiuto. «Diventerò un buon musicista», scriveva entusiasta alla sorella Sasa, mentre si dava veramente da fare per apprendere tutto ciò che poteva frequentando il conservatorio. I veri problemi erano però quelli della sussistenza. Le lezioni rendevano poco e Piotr doveva sobbarcarsi a fare il pianista accompagnatore per mediocri cantanti o, peggio ancora, il copista, lavoro questo veramente duro che gli fece spesso vedere le luci dell’alba a tavolino. Nel 1866 concludeva gli studi e in occasione della premiazione degli allievi fu eseguita una sua composizione per soli, coro e orchestra, ispirata all’ode Alla gioia di Schiller. Lui non era presente, la sua timidezza e la paura di un giudizio negativo del pubblico lo tennero lontano. Prima ancora di conseguire il diploma, aveva ricevuto dal fratello di Anton Rubinstein, Nicolai Rubinstein, che stava per aprire un conservatorio a Mosca, la proposta di andarvi ad occupare la cattedra di armonia. Lo stipendio non era eccezionale, l'orario di lavoro era assai pesante, ma la posizione di tutto rispetto l’avrebbe consacrato musicista professionista. Inutile dire che Piotr accettò subito e nel 1866 si trasferì a Mosca andando ad abitare nella casa dello stesso Rubinstein, che gli diede prova di grande amicizia aiutandolo economicamente e facendolo entrare in contatto con la migliore società moscovita. Appena arrivato si mise al lavoro per comporre la sua PRIMA SINFONIA, ma la cosa portò sull’orlo dell’esaurimento nervoso, anche per le critiche di Rubinstein e Zaremba. All’epoca di Ciaikowski in Russia non c’era una vera e propria scuola musicale e ad occuparsi del problema dell'assenza di una tradizione musicale, non c’erano solo i fratelli Rubinstein, fondatori di due importanti istituti come i Conservatori di Pietroburgo e Mosca. Se questi si rifacevano nei loro sforzi alla grande tradizione della musica colta occidentale e alle sue forme, altri, il cosiddetto “gruppo dei 5”, battevano un’altra strada e cioè quella del recupero di un ricco patrimonio folclorico russo quasi sconosciuto e comunque sottovalutato. Fu Mily Balakirev a battersi con fervore perché una tale prospettiva si affermasse. Attorno a lui si raccolsero, per un certo periodo, il critico musicale Cui e i musicisti Mussorgsky, Borodin e Rimsky-Korsakov. Ciaikovsky entrò in contatto con loro nel 1868 e, pur non condividendone alcune scelte radicali, come il quasi totale disinteresse per la musica occidentale, ne apprezzò gli intenti e l’entusiasmo. Con Rimsky-Korsakov vi fu quasi un rapporto di amicizia attestato da una lunga corrispondenza. Molto più episodici furono i contatti con Mussorgsky, di cui Ciaikovsky apprezzava il talento ma disapprovava la carente cultura musicale, con Borodin, a suo parere troppo impegnato nella sua professione di chimico per fare anche il musicista, e con Cui, anch'esso troppo assorbito dalle lezioni di fortificazione che dava in tutte le scuole militari di Pietroburgo. Da Balakirev Ciaikovsky accettò alcuni consigli come quelli di musicare ROMEO E GIULIETTA  e LA TEMPESTA ,  ispirandosi a Shakespeare. Ciò che accomunò realmente Ciaikovsky ai Cinque fu il sincero interesse per il patrimonio melodico russo, indipendentemente dagli esiti diversissimi che ebbe nell'uno e negli altri. Per accorgersene basta prendere in considerazione gli altri lavori di Ciaikovsky di questo periodo. Nel 1871, essendo a corto sia di denaro che di soddisfazioni professionali, il Nostro decise di dare un concerto di sue musiche da camera (ingaggiare un'intera orchestra costava troppo). Durante tale concerto fu eseguito il Quartetto op. 11, il cui celebre ANDANTE CANTABILE era costruito su un motivo popolare ascoltato dalla viva voce del giardiniere della tenuta di Kamenka della sorella Sasa. Al concerto era presente il grande Tolstoj che versò calde lacrime ascoltando l’Andante cantabile, cosa che inorgoglì molto Ciaikovsky. Incoraggiato dal successo del concerto, Piotr si diede anima e corpo alla composizione di un'opera su testo tratto ancora una volta dalla tradizione russa: Opricnik. L'opera fu scritta e orchestrata intorno all'estate del 1872 contemporaneamente alla SECONDA SINFONIA . Ambedue i lavori sottoposti al vaglio dei Cinque ricevettero critiche entusiastiche. La prima moscovita della Seconda Sinfonia, soprannominata Piccola Russia, a causa dei ricorrenti temi popolari che la ispirano, fece registrare uno dei primi successi trionfali della carriera di Ciaikovsky. Contrariamente alle altre sue sinfonie, la Seconda è pervarsa a tratti da una gioia di vivere che ignora totalmente l’incombente presenza del fato, o il malinconico abbandono a una visione esistenziale senza speranza. Sull’onda del successo Ciaikovsky ricevette dal Teatro Imperiale di Mosca l'incarico di scrivere le musiche per uno spettacolo misto di danza, canto e brani strumentali. In poche settimane nacque così La fanciulla di neve, su un testo di Ostrovsky, che ispirerà qualche anno più tardi anche Rimsky-Korsakov.  I tempi duri sembravano finiti. E finiva anche il periodo «nazionalista» di Ciaikovsky con “ Il fabbro Vakula “, un'opera scritta ancora sulla traccia di un racconto russo, di Gogol, e presentata ad un concorso bandito dalla Società della Musica Russa, da cui ricevette il primo premio. Intorno al 1870 Ciaikovsky era ormai un compositore abbastanza noto in Russia. Non essendo più un «musicista povero›› poté permettersi di lasciare la casa di Rubinstein, andare a vivere da solo e assumere un domestico. Era nelle migliori condizioni per dare sfogo alla sua vena creativa e i risultati migliori non tardarono a venire. Nel corso del 1874 scrisse il suo PRIMO CONCERTO PER PIANOFORTE E ORCHESTRA  e, proprio gli ultimi giorni dell'anno, pienamente soddisfatto del suo lavoro, andò a trovare Nicolai Rubinstein per avere un suo parere. Ma una spiacevole sorpresa lo aspettava. Lasciamo la descrizione del fatto alle sue parole: «Era la vigilia di Natale del 1874...Io eseguo il primo movimento. Non una parola né un'osservazione...Per la verità io non desideravo una valutazione sul valore musicale del mio concerto, ma un parere sulla sua tecnica pianistica. Orbene, il silenzio di Rubinstein era denso di significati: “Come vuole mio caro -sembrava voler dire - che io faccia attenzione a dei dettagli quando la sua musica mi risulta repellente nel suo insieme”  ...Io mi armai di pazienza e suonai la partitura fino alla fine. Silenzio. Mi alzo: “Ebbene?” domandai. Cortese e tranquillo all’inizio Rubinstein divenne in breve una specie di Giove tonante. Il mio concerto non aveva alcun valore, era ineseguibile; i suoi temi erano abusati, di una rozzezza tale che risultava impossibile ogni correzione...Due o tre passaggi, a rigore, potevano essere salvati; ma quanto al resto bisognava rifarlo dall`inizio alla fine!...“Io non cambierò una nota - replicai - e lo farò pubblicare così com’è...Ed è esattamente ciò che feci».  Dopo questo singolare scontro, Ciaikovsky decise di dedicare il concerto non più a Rubinstein, com’era nelle sue intenzioni, ma al grande pianista tedesco Hans von Bülow, che lo portò al successo eseguendolo a Boston nel 1875. Bisogna aggiungere che in seguito, Rubinstein si ricredette ed eseguì spesso quella che è ancora oggi una delle pagine più conosciute di Ciaikovsky. Nell'autunno del 1875 nacque la TERZA SINFONIA ,  detta La Polacca, piuttosto originale con i suoi cinque movimenti che la fanno sembrare più una suite per orchestra, e che non è certamente fra le cose migliori del nostro autore. Egli la fece sentire a Saint-Saëns che era in tournée in Russia e in quell'occasione gli fece ascoltare anche alcuni spunti melodici per il nuovo balletto che gli era stato commissionato dalla direzione dei Teatri Imperiali di Mosca, per un compenso di ottocento rubli. Si trattava del celeberrimo LAGO DEI CIGNI , rappresentato la prima volta il quattro marzo del 1877 a Mosca. L'insuccesso fu quasi totale per la pessima messa in scena e per il disastroso rendimento dell'orchestra. Solo nel 1895 il coreografo Marius Petipa portò l'opera di Ciaikovsky alla notorietà che conserva tutt'ora. Sempre nell'ambito di questa felice fase creativa si colloca nel 1876 il poema sinfonico FRANCESCA DA RIMINI . Sembra che esso fu ispirato all'autore da una casuale lettura del quinto canto dell'Inferno di Dante, effettuata sul treno che lo portava in Germania, a Bayreuth, dove avrebbe assistito ad un festival di musiche wagneriane.  Non si è detto fino ad ora dei frequenti viaggi di Ciaikovsky. Dal momento che poté permettersi di viaggiare, questa divenne certamente la sua seconda passione dopo la musica. Appena i suoi impegni glielo permettevano, si allontanava da Mosca, sia per spostarsi all’interno della Russia, sia per effettuare alcune puntate nei paesi dell'Europa occidentale. Naturalmente spesso doveva limitare i suoi spostamenti sia perché il suo incarico al conservatorio gli imponeva una presenza costante a Mosca, sia perché le sue risorse economiche, pur essendo discrete, non gli permettevano certo di condurre una vita da ricco. Il destino, quel destino che Ciaikovsky visse sempre come incombente sulla vita dell’uomo, doveva questa volta aiutarlo attraverso l'intervento di uno strano personaggio: Nadezda von Meck. Nadezda von Meck aveva quarantacinque anni quando conobbe Ciaikovsky. Era rimasta vedova da pochi anni, ma il marito, ingegnere, le aveva lasciato un'immensa fortuna costruita sfruttando abilmente il boom delle ferrovie in quell'immenso paese. La von Meck possedeva a Mosca un palazzo di cinquantaquattro stanze, enormi tenute sparse in tutta la Russia, case e ville in vari paesi europei e perfino un vagone ferroviario privato con il quale viaggiava insieme a sette dei suoi dodici figli e alla numerosa servitù. Dal giorno della morte del marito praticamente non aveva più fatto vita di società, pur possedendo una vitalità e una passionalità fuori dal comune. Essendo rimasta colpita dalla musica di Ciaikovsky ne parlò con Rubinstein il quale le suggerì di sovvenzionarne l'attività di compositore commissionandogli delle musiche e retribuendo tale lavoro in misura ben maggiore del loro valore. Iniziò così una relazione epistolare fra i due che durò per ben quattordici anni. L'amore per la musica, la passione per i viaggi, per tutte le cose belle e una particolare sensibilità accomunavano Ciaikovsky e la von Meck, così che fin dai primi tempi nacque fra essi una sincera e profonda amicizia. Per uno strano accordo voluto dalla von Meck, e poi sempre rispettato, essi non si sarebbero mai incontrati, anche vivendo o soggiornando nella stessa località, e avrebbero comunicato solo per via epistolare. All’inizio del 1877 Ciaikovsky, trovandosi in difficoltà economiche, le chiese un prestito e la von Meck gli inviò il denaro richiesto pregandolo di non pensare neanche alla restituzione e di considerare quell’atto come un modesto contributo alle opere per le quali egli stava lavorando. In quel momento il musicista era intento alla composizione della QUARTA SINFONIA , che decise quindi di dedicare con riconoscenza alla sua generosa amica.  Contemporaneamente a questa vicenda se ne sviluppava un'altra, destinata a un veloce e doloroso epilogo e cioè quella del matrimonio di Ciaikovsky. Da tempo egli meditava sulla sua condizione di scapolo e sul suo desiderio di avere una famiglia. Le dicerie e i pettegolezzi sulla sua omosessualità lo disturbavano molto, anche se egli non negava l’esistenza in lui di inclinazioni particolari, e un matrimonio avrebbe potuto essere la soluzione di vari problemi. Questa prospettiva divenne realistica quando, quasi malgrado lui, a metà del 1877 egli si trovò nelle condizioni di compiere l'importante passo. L'iniziativa fu di una sua allieva, Antonina Miliukova, che per via epistolare chiese al musicista di incontrarlo, dichiarandosi perdutamente innamorata di lui e minacciando il suicidio se il suo desiderio non fosse stato esaudito. Ciaikovsky acconsentì ad incontrarla e la cosa si ripete più volte. Pur dichiarandole francamente che difficilmente avrebbe potuto amarla, il musicista si lasciò convincere dalla passionale ragazza a chiederla in moglie, pensando forse che essa avrebbe potuto essere per lui una compagna discreta e amorevole. Il trenta luglio fu celebrato il matrimonio, i due fecero una brevissima luna di miele a Klin e ritornarono a Mosca dove i corsi al conservatorio attendevano Ciaikovsky. Resosi conto subito di non essere in grado di sostenere una relazione matrimoniale Piotr, prendendo a pretesto una compromissione del suo stato di salute, partì per Kamenka dove passò il mese di agosto e parte di settembre. Alla fine, però, fu costretto a rientrare a Mosca per i suoi impegni in conservatorio e a quel punto scoppiò il dramma. In un primo momento tentò di adattarsi alla vita matrimoniale, poi qualche giorno dopo ebbe un crollo psicologico tale da fargli tentare il suicidio nelle acque della Moscova. Il cinque ottobre telegrafò al fratello Anatol e gli disse di mandare da Pietroburgo un falso telegramma a firma del direttore d’orchestra Napravnik, con il quale si richiedeva con urgenza la sua presenza nella capitale. Anatol esegui e Piotr partì immediatamente. Quando arrivò alla stazione era talmente sconvolto che Anatol stento a riconoscerlo; lo portò in albergo dove fu colto da una grave crisi e perse conoscenza per due giorni. I medici, che in un primo momento addirittura disperarono di un recupero totale della sua sanità mentale, gli prescrissero un periodo di riposo, un totale cambiamento di vita e, naturalmente, il divieto di tornare a vivere con Antonina Miliukova. Anatol avvertì Nicolai Rubinstein della situazione e questi si incaricò, insieme ad Anatol stesso, di convincere la donna della necessità di una separazione. Il tentativo di Piotr Ilic Ciaikovsky di costruirsi una vita normale era rovinosamente finito nel peggiore dei modi. Nei mesi che avevano preceduto il matrimonio e che avevano visto crescere il legame con la von Meck, Ciaikovsky aveva continuato a lavorare a due importanti opere: la  QUARTA SINFONIA  e EUGENIO ONEGIN . Ambedue le opere furono portate a compimento fra il gennaio e il febbraio del 1878.  Dopo la crisi dell'ottobre del 1877, Ciaikovsky fece una lunga convalescenza viaggiando con Anatol e poi con Modest in Austria, Italia, Svizzera. A Clarens scrisse il popolare CONCERTO PER VIOLINO E ORCHESTRA , ricco di una freschezza e di una inventiva melodica che continuano ad affascinare oggi come ieri il pubblico. Durante la convalescenza gli fu offerto da Rubinstein l'incarico di rappresentare la Russia all'esposizione di Parigi, ma Piotr rifiutò, pensando che avrebbe fatto meglio a evitare mesi e mesi di cerimonie ufficiali e di simili formalità che odiava. Il posto al conservatorio non gli era stato tolto, ma la cosa aveva ormai un interesse relativo per il musicista dal momento che la von Meck si accingeva ad assegnargli una rendita annua di seimila rubli che lo avrebbe sollevato definitivamente da ogni preoccupazione economica. Ciò avvenne alla fine del 1878 quando, pienamente ristabilito, decise di tornare in Russia, sistemandosi a Kamenka presso la sorella Sasa, che gli aveva fatto costruire una piccola villa perché vi potesse lavorare in piena tranquillità. Appena rientrato si affrettò a dare le dimissioni dal suo posto al conservatorio, dimissioni che Rubinstein accolse verso la fine dell'anno. Ciaikovsky non vi avrebbe più rimesso piede, né in quello di Mosca, né in quello di Pietroburgo dal quale avrebbe ricevuto l’invito ad occupare la cattedra di composizione. A questo punto nulla si frapponeva più a quella vita da eterno viandante che Piotr aveva sempre sognato. Così nel dicembre del 1879, dopo una permanenza a Parigi, lo troviamo a Roma ad ammirare le bellezze artistiche e l'allegro folclore del Bel Paese, cui renderà poi omaggio in musica con un'effervescente brano, il CAPRICCIO ITALIANO . Sarebbe difficile seguire i viaggi di Ciaikovsky, numerosissimi, che s’incrociano talvolta con quelli della sua ricca protettrice: spesso i due, come avviene a Firenze e a Parigi, soggiornano in abitazioni che distano poche centinaia di metri l'una dall’altra ma, secondo l'accordo previsto, evitano di incontrarsi. La von Meck gli mette a disposizione le sue case, le sue ville, compresa quella dell’enorme tenuta di Brailov (12.000 ettari), che egli frequenta quando la sua amica si trova altrove. Ancora più difficile è seguire Ciaikovsky nei suoi spostamenti a partire dal 1880. Tornato in patria, si era accorto che in sua assenza la sua celebrità era cresciuta enormemente, ed anche all'estero avveniva la stessa cosa. Messa da parte la sua misantropia, incominciò a svolgere, come e stato detto, il ruolo di ambasciatore della sua stessa musica, lasciando forse un po' da parte, almeno fino al 1885, la composizione. Parigi, Vienna, Londra, Berlino, Praga, Budapest, Roma e infine gli Stati Uniti, dove inaugurò la Carnegie Hall, furono alcune delle tappe ricorrenti di questi anni. Nel marzo del 1881 morì Nicolai Rubinstein, l'amico degli anni difficili, «il capo›› come lui lo chiamava affettuosamente. Piotr ne restò quasi traumatizzato e scrisse in suo ricordo il lungo TRIO IN LA MINORE  dedicato alla memoria di un grande artista. Gli anni che seguirono furono dedicati a ulteriori tentativi di creare un capolavoro assoluto nell’ambito del teatro musicale (l'Onegin non era stato un grandissimo successo). Ciaikovsky provò prima a musicare la storia di Giovanna D'Arco, scrivendone egli stesso il libretto, ma l'opera che ne nacque, La pulzella d'0rleans, data in prima al teatro Marynsky di Pietroburgo nel febbraio del 1881, ebbe solo un successo di stima. Eguale esito ebbe nel 1883 Mazeppa, opera ampiamente ispirata al folclore russo cui l'autore attinse a piene mani, e centrata sul leggendario condottiero cosacco della fine del Seicento.  Oltre al teatro musicale, Ciaikovsky in quegli anni dedicò un po’ di tempo anche alla  musica strumentale: fra il 1878 e il 1880  nacquero il SECONDO CONCERTO PER PIANOFORTE E ORCHESTRA , SONATA IN SOL MAGGIORE op. 37  e nel 1884 la FANTASIA DA CONCERTO op. 56  per pianoforte e orchestra e  LA BELLA ADDORMENTATA , portato a termine  da Ciaikovsky nel 1889.  Completano l'elenco delle opere più famose  di questo periodo L'OUVERTURE 1812 , scritta  sotto commissione della stessa corte, nelle  grazie della quale (soprattutto in quelle del  granduca Costantino), Ciaikovsky era entrato intorno al 1880, e il MANFRED , una sinfonia a programma propostagli con il solito  atteggiamento paternalistico da Balakirev.  Dal 1885 Ciaikovsky non poté più usufruire della tenuta di Kamenka della sorella Sasa poiché quest'ultima si era gravemente ammalata. Maturò così in lui a quarantacinque anni, l'idea di farsi una casa propria e la sua scelta cadde su Klin, una località poco lontana da Mosca dove prese un’abitazione tranquilla e adatta alla sua attività. In quello stesso periodo, nel gennaio del 1887, incominciò a svolgere anche l'attività di direttore d'orchestra, in maniera da potere effettuare in questa veste varie tournée concertistiche in tutto il mondo. Se si considera che fin dai primi anni della sua carriera aveva nutrito un vero e proprio terrore per il podio e la bacchetta, si può ragionevolmente ipotizzare un'ulteriore processo di maturazione della sua personalità proprio negli ultimi anni della sua vita.  Altro tentativo nel campo del teatro fu nel 1887 l'opera L'ammaliatrice, anche questa segnata, però, da un'ulteriore fallimento, mentre un successo immediato ebbe LA DAMA DI PICCHE  scritta nel 1890. Gli ultimi anni della vita di Ciaikovsky videro la nascita di alcuni dei suoi maggiori capolavori. Innanzitutto la QUINTA SINFONIA ,  scritta nel 1888 e inserita nel ciclo del fato come la Quarta e la Patetica che hanno come tema centrale la lotta dell’uomo contro il suo destino, lotta inevitabilmente perdente. I quattro movimenti sono legati l'uno all'altro da un tema centrale, secondo lo schema della sinfonia ciclica, e contengono splendidi spunti melodici divenuti poi popolarissimi. Nel gennaio del 1890 il musicista, all'apice della sua carriera, ricevette un durissimo colpo. Nadezda von  Meck, l'amica di sempre, la generosa protettrice, gli faceva sapere per lettera che a  causa di un dissesto economico al quale era  andata incontro, non era più in grado di  versargli l'usuale rendita annua. Ciò che più colpì Ciaikovsky, però, fu la netta impressione che la von Meck dava di non voler  più avere a che fare con lui a nessun livello.  I motivi di questa scelta della donna ci sono ignoti. Forse a causa di una grave malattia di uno dei figli decise di dedicarsi di più alla famiglia, eliminando ogni altro impegno affettivo, o forse i persistenti pettegolezzi sulle abitudini omosessuali di Piotr giunsero (con molto ritardo) alle sue orecchie determinando una reazione di totale chiusura. Sta di fatto che Ciaikovsky tentò in tutti i modi di mettersi in contatto con la vecchia amica, offrendole anche il suo aiuto economico (ormai la rendita della von Meck non gli era più necessaria), senza peraltro ottenere alcun risultato. Gravemente malata di tubercolosi, Nadezda sarebbe morta qualche mese dopo Ciaikovsky. Profondamente colpito da quanto era avvenuto, Piotr, come al solito, cercò conforto nella musica. Dopo un viaggio negli Stati Uniti nella primavera del 1891, si diede alla stesura di un'opera in un atto, Jolanta, e del suo terzo grande balletto, LO SCHIACCIANOCI , altrettanto celebre quanto i primi due, messo in scena il ventinove dicembre del 1892. Nel giugno del 1893 venne insignito presso l'antica università di Cambridge della laurea «honoris causa» insieme a Bruch, Saint-Saëns, Boito e Grieg. Era veramente all'apice della celebrità. L'ultimo atto sarebbe stato la composizione della sesta sinfonia, detta LA PATETICA . L'idea gli era venuta già nel febbraio del 1893. Così scriveva al nipote Bob Davidov: «...Durante il mio soggiorno a Parigi, mi è venuta l'idea di scrivere una sinfonia a programma, dovendo restare però il programma un enigma per tutti. Che provino a indovinare! Per ciò che mi riguarda io ho solo l'intenzione di intitolarla semplicemente “Una Sinfonia a programma”. Il mio soggetto è pieno di elementi autobiografici tanto che componendola mentalmente durante il viaggio ho spesso pianto. Appena arrivato mi sono messo al lavoro con tanta foga che nel giro di quattro giorni il primo movimento era ultimato e il resto chiaramente concepito nella mia testa...Il finale non sarà un brillante allegro, ma un lungo adagio. Non puoi immaginare come sia felice di non essere “finito”, di sapere che sono ancora capace di lavorare. Ben inteso posso sbagliarmi, ma non credo...››. «...Considero questa sinfonia come la migliore di tutte le opere che ho scritto e comunque la più sincera››. Parole ambigue queste, che da una parte fanno pensare a un presentimento della morte vicina, magistralmente espressa nella drammatica partitura, dall'altra a un uomo che ha ancora piena fiducia nei suoi mezzi e grande voglia di vivere. La sinfonia è impostata sull’eterno scontro fra l'uomo e il fato, che costituisce il clima psicologico dell’opera dall’inizio alla fine, come già per la Quarta e la Quinta. Nella Patetica, però, risulta evidente il senso di fallimento dell’uomo di dover combattere contro ciò che non può essere vinto. Per tale motivo è stato detto che il finale della sinfonia è l’ideale rovesciamento di un finale eroico di tipo beethoveniano. L’otto ottobre, Ciaikovsky è a Pietroburgo per dirigere le prove della sinfonia che sarà data il sedici. Pochi giorni dopo egli avverte un certo malessere ma non vi fa caso, poi, durante il pranzo commette volontariamente una grave imprudenza e cioè beve un bicchiere d’acqua non bollita. In quei giorni a Pietroburgo infuriava il colera. Quella sera stessa il dottore gli diagnosticava la grave malattia. «Credo che questa sia la morte, addio ››, ebbe la forza di mormorare il musicista. Seguirono tre giorni in cui a tratti Ciaikovsky sembrò migliorare, poi il venticinque alle tre del mattino l'epilogo. Eccolo nelle parole del fratello Modest: «Tutto a un tratto i suoi occhi si spalancarono. Una coscienza lucida, allucinante brillava nel suo sguardo che si rivolse a noi tutti e poi al cielo. Per qualche istante una fiammella danzò nel fondo delle sue pupille e si spense con il suo ultimo respiro. Erano poco più delle tre del mattino...

 

a cura dei maestri Nicola Russano e Anna Russano

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