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Torino (di Nando Cimino)  - ‘La contabilità del diavolo’, di Monica Dogliani e Andrea Ronchetti, edito dalla Montauk di Torino, è uno di quei libri che dovrebbe entrare a far parte della vita di ciascuno di noi. Da leggere, rileggere, leggere ancora e tenere lì, non solo per le emozioni che suscita ma per la memoria che contribuisce a trasmettere e conservare, quale indelebile monito per l’umanità intera. Il romanzo, ambientato nella Germania nazista dei Lager di Auschwitz-Birkenau, edificati nella Polonia meridionale come strumento per ‘la soluzione finale della questione ebraica’, racconta un intreccio di vite nel difficile percorso verso la libertà anche interiore, a partire dal 1944, sgranando la sua vicenda fino al 1955. Dopo la morte del coautore, Andrea Ronchetti, avvenuta nel luglio dello scorso anno, Monica Dogliani, sembrava non voler dar seguito al progetto editoriale nel devoto rispetto dell’amico e collaboratore, scomparso ad una settimana dal compimento del suo 52° compleanno. Le esortazioni di amici e familiari, però, hanno indotto la scrittrice, nell’idea di onorare la memoria di Andrea Ronchetti, a portare a compimento l’opera, attraverso la sua pubblicazione. Ed è la stessa autrice a esporre le ragioni del romanzo che impegna il lettore, a partire dal titolo: “L’approccio nazista non dimenticava di contabilizzare tutto – spiega Monica Dogliani -. Da una parte per noi posteri è una fortuna, perché abbiamo della documentazione che può contrapporsi alla dichiarazioni dei negazionisti. Nel romanzo c'è un personaggio, il maggiore Ziegler, una meteora nella narrazione, che lascia il segno. E’ chi si occupa proprio di portare in partita doppia le entrate e le uscite dei ‘pezzi’. Gli individui, gli esseri umani, nella logica del Lager, diventavano numeri”. C’è una ragione in più che si consolida in un messaggio chiaro: “I ragazzi devono capire che il male è ordinario – prosegue la scrittrice - e fa parte della biologia umana. La non accettazione dell’altro è il primo passo verso un percorso che ricorda troppo bene la strategia nazista. Io non sono migliore di nessuno perché ho gli occhi verdi e la pelle chiara. Personalmente – termina la Dogliani – ritengo d’essere stata fortunata a nascere in questo periodo storico, in un Paese dove vige una democrazia. Ma sarò peggiore di qualsiasi altra persona se il mio comportamento potrà annientare un essere umano o anche solo, scartarlo”. Il libro è avvolto in copertina da uno scatto che il fotografo, Roberto Gatti, ha voluto regalare all’edizione, siglando così il suo contributo all’estensione di una ‘memoria’ che, a quanto pare, necessita ancora d’essere risvegliata.  

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