In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Commento
Il cammino di ritorno verso la terra da dove siamo partiti, sognati e amati da Dio, è un percorso difficile,duro e affannoso,con “notti di affanno”.,come leggiamo nel libro di Giobbe,un percorso più o meno lungo,una presenza, ma che non ci scolpisce nel tempo , ma che ci proietta in direzione eternità. “Un soffio è la mia vita”, lamenta ancora Giobbe,forse in un momento di vissuto pessimismo,anche se in fondo è la realtà:siamo di passaggio,un passaggio fugace, destinati noi fuori del tempo. Un percorso però che non può non lasciare tracce,segni, per significare che dietro di noi, non abbiamo lasciato il vuoto,e che la storia nostra, quella poi letta da Dio, può avere punti di riferimento.
Noi siamo però dei viaggiatori qualificati,cioè, non solo amati da Dio,ma abbiamo nel cuore il segno di un’appartenenza che ci qualifica come discepoli di Gesù,perciò gente che non può attraversare il tempo e la storia nel silenzio assoluto, ma è chiamato a dire, a parlare di chi di questa identità ci ha qualificati. Ad esortarci è l’Apostolo Paolo, dopo averlo detto a se stesso, di annunciare gratuitamente Cristo,il suo Vangelo, non solo con la parola, ma con fatti di vangelo. Camminiamo insieme a tanti fratelli in questo percorso,e tender lamano “facendoci tutto a tutti” è l’atteggiamento più giusto e vitale, perché esso non solo ci aiuta ad aprire ai fratelli la salvezza,ma fa sentire la nostra vita vangelo vivente.
Gesù stesso, ci dice Marco,sentiva l’esigenza di non sostare nei luoghi dove arrivava, ma l’ansia di arrivare a tutti, lo spingeva ad andare oltre, la dove la voce del Padre lo chiamava. Siamo chiamati a vivere la nostra identità in tono dinamico, entrando nella logica di Dio,quella stessa vissuta da Cristo,che non prevede soste di comodo,ma ricerca ansiosa di un compimento spirituale. La nostra fede deve essere scomoda,peregrinante, perché sull’esempio di Gesù,ovunque, vivendo la nostra identità qualificata ,la realizziamo, vivendola profondamente.
Gesù se ,riconoscendoci deboli e fragili, o se cadiamo, ci accostiamo a lui, egli ci guarisce,e ci da la forza di andare ,carichi della forza che ci viene da lui, e dire senza paura quello che siamo, superando la tentazione di un cristianesimo facile e annacquato.
Se dinanzi alle sofferenze e alle ferite dell’umanità, il cristiano zittisce per paura o per comodo, tali sofferenze e le ferite sono condannate a marcire.
Commento di P Pierluigi Mirra Passionista