Classica
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Vincenzo Bellini morì molto giovane, a soli 34 anni, ma fece in tempo a scrivere veri capolavori. A Parigi, dove fu una delle figure centrali dei salotti più in vista dell’epoca, raggiunse fama europea. Bellini, che non a caso Giulio Confalonieri affianca a Rossini, Donizetti e Verdi nel mito dei Quattro Evangelisti dell'Ottocento musicale italiano, nacque a Catania nel 1801 in un clima familiare già interamente votato alla musica. Il padre, Rosario, era insegnante di musica e maestro di cappella, mentre il nonno, Vincenzo, dopo aver studiato musica a Napoli con Jommelli e Piccinni, s`era creata notorietà a Catania come compositore di musica sacra ed Oratori il cui materiale purtroppo non ci è pervenuto.  L’ambiente ideale dunque, per consentire al piccolo Bellini di iniziare lo studio del pianoforte a soli 3 anni e di comporre a soli 6 anni la Cantata per soprano “Gallus cantavit”. L'alta reputazione familiare e la chiara vocazione gli procurarono la protezione delle grandi famiglie catanesi. Risultato tangibile di tale interessamento fu una borsa di studio (allora usavano chiamarla “pensione”) che consentì a Bellini di studiare a Napoli presso il Collegio di S. Sebastiano. Sempre a Napoli il giovane musicista (aveva allora l8 anni) perfezionò gli studi musicali presso i migliori insegnanti dell’epoca. Fin dagli albori della sua carriera si dedicò alla composizione, in prevalenza musica sacra e pezzi strumentali che furono eseguiti al Conservatorio napoletano, ove, nel 1825, fu eseguita anche la prima opera teatrale: “ADELSON E SALVINI”; opera che ottenne un tale successo da venir replicata ogni domenica per l'intero anno, suscitando l'ammirazione di personaggi illustri, quali Donizetti che volle conoscere il giovane collega e con  lui rallegrarsi. Risale a quel periodo il primo grande amore di Bellini: quello per Maddalena Fumaroli, figlia di un “benpensante” magistrato che tenacemente s'oppose al nascente legame. Intanto il successo sempre crescente dell`”AdeIson e Salvini” indusse il Consevatorio a segnalare il nome e il talento  di Bellini al San Carlo che accolse  benevolmente l`ipotesi di mettere alla  prova il giovane musicista commissionandogli l'opera “Carlo d'Agrígento” il  cui titolo fu poi mutato in “Bianca e  Fernando”. Il titolo ebbe una successiva mutazione: il nome Fernando fu mutato in quello, più impossibile ma meno trasgressore, di Gernando, onde evitare la blasfema circostanza che un personaggio d`opera avesse lo stesso nome della sacra maestà di Re Ferdinando. Ma è doveroso ammettere che la sera della prima al San  Carlo, la sacra maestà si comportò  molto bene: “ruppe l'etichetta” e la  regale imperturbabilità dando il via ai  clamorosi applausi che decretarono il  trionfo dell'opera e cosa più  importante e decisiva per le fortune di  Bellini, fu l'entusiasmo di Domenico  Barbaja, il famoso personaggio che, da  gestore dei giochi d`azzardo nel  “foyer” della Scala e “scopritore” delle  delizie della cioccolata calda con panna, s`era fatto impresario dall'intuito  infallibile e “talent-scout" di tale percettività da imprimere un marchio decisivo alla crescita ed alla consacrazione dei più grandi musicisti e dei più  famosi cantanti del momento. Barbaja, senza esitazioni di sorta, scritturò Bellini per la Scala. Il 25 aprile del 1827 Bellini giunse a Milano ove, immediatamente, strinse amicizia con Felice Romani al quale, in seguito, affidò i libretti di tutte le sue opere, ad eccezione dei “Puritani'. Bellini esordi trionfalmente alla Scala il 27 ottobre 1827 con Il “IL PIRATA”. L'enorme successo artistico si intersecò al successo “mondano” facendo di Bellini, nel volgere di poco tempo, un personaggio alla moda, ospite più che gradito dei salotti milanesi. Il successo scaligero si ribaltò a Genova ove Bellini fu invitato a comporre un'opera per l`inaugurazione del Carlo Felice. Bellini, con quel tanto di risaputa e smaliziata pigrizia meridionale, ripropose ai genovesi “Bianca e Fernando” parzialmente rielaborata con l’aggiunta di quattro pezzi nuovi. Fu a Genova che fiorì il grande amore per Giuditta Cantù, maritata Turina. Con la Turina, convalescente d'un male che era iniziato a Genova, Bellini si trasferì in Brianza ove nella suggestione di luoghi riposanti e suggestivi, si dedicò alla composizione della seconda opera destinata alla Scala: LA STRANIERA”. L’opera andò in scena il 14 febbraio del 1829 rinnovando il successo del Pirata. Segui una battuta d'arresto con la tiepida accoglienza riservata alla” Zaira”, al Teatro Ducale di Parma la sera del 16 maggio del 1829, Trionfale fu invece il successo che il pubblico della Fenice di Venezia riservò a “I Capuleti e i Montecchi” l’11 maggio 1830. L`opera che si rifaceva, nel libretto, alla tradizione italiana del mito degli “amanti di Verona”, essendo all’epoca ancora sconosciuta da noi la tragedia scespiriana, stentò ad affermarsi, mentre nel compositore cominciarono ad affiorare quei disturbi allo stomaco ed al fegato che si faranno poi sempre più frequenti. Fu Felice Romani a suggerire un soggetto che pareva sotto ogni aspetto, tipicamente “belliniano”, "La Sonnambule” ou l'Arrivée d°un Nouveau seigneur”. L`opera, per la quale Bellini adoperò buona parte del materiale già composto per l`Ernani, fu battezzata, più semplicemente “SONNAMBULA , (opera completa)” e andò in scena alla Scala il 6 marzo l831 con protagonista Giuditta Pasta e col tenore Rubini. L’esito fu trionfale e segnò l'inizio di un intenso rapporto sentimentale fra Bellini e la Pasta. Tuttavia amante “ufficialmente” in carica rimase ancora la Turina che ruppe definitivamente i rapporti con Bellini solo dopo la separazione ufficiale dal marito. La Pasta esercitò un fascino enorme sul giovane musicista e a questa egli riservò le due successive opere, la “NORMA” con la celebre Casta diva e la “Beatrice di Tenda”, entrambe destinate al più totale insuccesso. Se incidentale può supporsi l’insuccesso della Beatrice di Tenda (La Fenice 16 marzo 1833), eco clamorosa ebbe il “fiasco” della Norma alla Scala la sera del 26 dicembre 1831. La Norma si riabilitò totalmente e con successo strepitoso quando fu presentata a Londra con protagonista Maria Malibran (una delle più grandi cantanti dell’epoca) che, nella stessa stagione, aveva trionfato anche nella "Sonnambula”.  Fu nell'autunno dei 1833 che Bellini si trasferì a Parigi in un appartamento al Boulevard des Italiens con l’impegno di comporre un'opera nuova per il  Théâtre italien. In seguito il musicista preferì stare a Puteaux ospite dell`amico inglese M. Lewys. Il soggiorno a Parigi fu ricco di avvenimenti, di “incontri e  amicizie" che consacreranno la fama  europea di Bellini. Fu in quel momento, tanto felice quanto vicino alla tragica fine, che Bellini stabili amichevoli rapporti con Chopin, con Musset, G. Sand, V. Hugo e A. Dumas.  Il libretto della nuova opera da presentare a Parigi era stato affidato a Carlo Pepoli il quale s`era orientato verso una commedia di D`Ancelot “I Puritaní” e “I Cavalieri” tratta, a sua volta, da un romanzo di W. Scott. Intanto mentre procedevano le prove Bellini era già al lavoro per una seconda versione dell`opera per la Malibran; edizione già annunciata al San Carlo ma che non vide mai le scene (si disse per  mancato arrivo del materiale musicale  a Napoli ma è più sensato pensare a preoccupazioni della censura borbonica) e, poi, per la morte della stessa  Malibran avvenuta a Londra. L’edizione ufficiale dei “I PURITANI” con l’aria A te o cara rimase, quindi, quella che andò in scena a Parigi la sera del 25 gennaio 1835 con esito trionfale. Cinque giorni dopo il re di Francia incaricò Rossini di consegnare a Bellini le insegne della Legion d'Onore. A poca distanza re Ferdinando fece pervenire al musicista la più alta onorificenza dell`Accademia borbonica.  Ma ormai per Bellini la “fine” era tragicamente vicina. I sintomi di disturbi intestinali s'aggravarono improvvisamente verso la line d`agosto fino a provocare la perdita della conoscenza. L'iter del male parve clinicamente irreprensibile. Ciò che rimase misterioso e che creò dicerie e sospetti, mai suffragati da indizi plausibili, fu il totale isolamento in cui l’amico Lewys mantenne il malato per quasi un mese: fino al 23 settembre del 1835, quando, cioè, un amico di Bellini il barone Aymê d`Aquino irruppe nella dimora di Puteax e trovò Bellini già morto.  La notizia giunse rapidamente a Parigi provocando un`immensa ondata di stupore e di commozione che si diffusero, poi, in tutta Europa. Rossini dispose personalmente l’imbalsamazione e i solenni funerali ebbero luogo a Parigi agli Invalidi il 2 ottobre. Trecentocinquanta coristi intonarono il solenne canto d'addio, i lembi del drappo funebre che ricopriva la bara furono tenuti da Rossini, da Paër, dal vecchio e venerato Luigi Cherubini e dal principe Carafa in rappresentanza del re di Napoli. Non dovrà sorprenderci che per complicazioni burocratiche e poliziesche la traslazione della salma a Catania avvenne 41 anni dopo, né che la casa natale di Bellini fu dichiarata monumento nazionale solo nel 1929. Accanto alle opere liriche Bellini ci lascia l2 composizioni religiose scritte in giovanissima età, 3 Cantate profane per voce ed orchestra, una Polacca per pianoforte a quattro mani, una Sinfonia per orchestra d'archi, 6 Sinfonie per grande orchestra, un Concerto per oboe ed archi e frammenti di concerti per strumenti solisti e archi mai pubblicati. Compose anche moltissime liriche per canto e pianoforte, fra le quali le più note sono le Sei ariette per camera dedicate alla Signora Marietta Pollini composte fra il 1828 ed il 1829.

a cura dei mestri:

Nicola Russano

Annamaria Rondello 

Anna Russano

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