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(di Nando Cimino) Ci sono pagine della martoriata storia del nostro sud, ancora rinchiuse negli archivi storici militari, che devono essere ‘liberate’. Pagine buie e dolorose che racchiudono, a quanto pare, ciò che ancora non può e non deve essere raccontato. In molti ricorderanno le accorate e pungenti interrogazioni parlamentari mosse dal compianto Angelo Manna, affinchè venissero aperti quegli archivi che nascondevano e nascondono ancora oggi,  la storia del brigantaggio post unitario e gli eccidi volti a piegare i sudditi del Regno delle Due Sicilie al volere piemontese. Di quegli atti, purtroppo, se n’è persa la memoria anche perché, la scomoda eredità di Angelo Manna, non è mai stata raccolta da nessun parlamentare. Molti fatti storici sono però stati sdoganati da quanti, nel corso degli anni, ha reagito all’annullamento della memoria del sud. Oggi ricorre l’anniversario di un terribile evento verificatori 152 anni fa e noi, vogliamo ricordarlo. Il fatto accadde a Castellammare Del Golfo, in provincia di Trapani, venerdì 3 Gennaio del 1862. Questo quanto accadde.

La stretta militare sulle popolazioni del sud, stava generando forti reazioni nel popolo e nelle sue fasce più deboli in particolare. Le truppe piemontesi, i garibaldini e gli eserciti alleati dei Savoia, non andavano troppo per il sottile e al popolo, esasperata vittima dell’Unità, non restava che reagire. Erano circa le due del pomeriggio del 2 gennaio quando oltre 450 giovani, armati di forconi, zappe, bastoni, pietre e falci fecero il loro ingresso in Castellammare, prendendo d'assalto la sede del commissario di leva, Bartolomeo Asaro, e del comandante della Guardia Nazionale. Francesco Borruso. I due, simbolo dell'odiato invasore, furono giustiziati e le loro dimore saccheggiate e date alle fiamme. I militari guidati dal generale Quintini, noto per l'efferatezza e la crudeltà delle sue ‘azioni militari di rappresaglia’, non tardarono ad arrivare da Palermo. Gli insorti si diedero alla macchia mentre centinaia di abitanti del posto, ripararono nelle contrade vicine e nelle campagne.  Il giorno seguente, venerdì 3 gennaio, i bersaglieri perlustravano i dintorni di Castellammare e, giunti in contrada Falconiera, vi stanarono uno sparuto gruppo di paesani che si erano lì rifugiati perchè terrorizzati dagli eventi della giornata precedente. Tra loro anche Don Benedetto Palermo, parroco del paese. Il drappello di militari venne raggiunto dal generale Quintini che dopo un interrogatorio sommario e senza alcun processo, diede ordine di fucilare quei popolani.

L’accusa? Essere parenti degli insorti.

*Angela Romano, una bimba di 9 anni, era riuscita a nascondersi all'arrivo delle truppe e da dietro un cespuglio osservava atterrita quanto accadeva a pochi passi da lei. Era rimasta immobile e in silenzio per tutto il tempo, spaventata dalle urla dei militari e sconvolta dalle percosse che subivano i suoi compaesani. Mordeva la stoffa della maglia che indossava per sopprimere ogni gemito di paura. Consapevole che qualcosa di orribile stava per accadere, Angelina, pensò: “Chi sono questi militari dallo strano accento e con i cappelli piumati? Cosa vogliono dal prete e dagli altri? Perchè non se ne vanno?” Poi vide la sua gente trascinata con forza verso un muro mentre inutilmente imploravano, piangevano e urlavano al cielo le loro ultime preghiere. Li misero in fila uno di canto all'altro allineandoli con il calcio del moschetto: per primo Antonio Corona, di anni 70; poi Angelo Calamia, di anni 70 anch'egli; il prete, Don Benedetto Palermo, di anni 43; Mariano Crociata, di anni 30; Anna Catalano, di anni 50 e Marco Randisi, di anni 45. Non ha resistito Angelina e il pianto dirompente la fece scoprire dai soldati che la spinsero fuori dal cespuglio e, in lacrime, la gettarono ai piedi di Anna Catalano che la sollevò e la strinse forte a sé. Piangeva Angelina, aggrappandosi all'ampia gonna di Anna che nell'ultimo materno abbraccio cercava di proteggerla dal piombo infame che di lì a poco avrebbe fatto scempio delle sue innocenti carni. Davanti agli occhi della bambina, incredula e smarrita, una fila di uomini in divise dai bottoni e dalle bardature scintillanti. Le baionette erano ferme mentre ciascun bersagliere già mirava al petto della vittima prescelta, pronto a farne grondare il sangue sulla nuda terra in nome dell'Unità. Fiero del suo operato e pronto a uccidere, la voce secca del generale Quintini, fermò il vento e ammutolì anche il singhiozzare della povera Angelina, in un eterno attimo di dolore:
“Puntate! Mirate! Fuoco!”

Era venerdì, 3 gennaio e faceva freddo mentre Angelina, vittima del risorgimento, esalava l’ultimo respiro della sua, fin troppo breve, vita.

Castellammare del Golfo - Trapani- 3 gennaio 1862, Venerdì.

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