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Il decreto ministeriale 140 ha disposto una retroattività della disciplina dei parametri in presenza di un vuoto normativo, venutosi a creare per mancanza di una disciplina transitoria tra l’abrogazione delle tariffe da parte del decreto Cresci-Italia e l’entrata in vigore dello stesso decreto 140. Per questo è in dubbio che abbia alcun fondamento legale.
Giampaolo Parodi, ordinario di diritto pubblico comparato a Pavia, ha dedicato la sua relazione ai profili costituzionali dell’applicazione retroattiva dell’articolo 9 del dl 1/2012 e del dm 140/2012.
Una questione già ampiamente dibattuta dalla giurisprudenza, peraltro ricordata dallo stesso Parodi, laddove alcuni tribunali hanno anche rimesso alla Corte Costituzionale il relativo sindacato. In discussione vi è la circostanza che le varie norme che si sono succedute (decreto legge, legge di conversione, decreto ministeriale) hanno creato dubbi di diritto intertemporale, rendendo complicato per il giudice stabilire a quali liquidazioni fosse applicabile il nuovo metodo di calcolo costruito sui parametri. Da qui le diverse ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale (del tribunale di Cosenza-che sarà discussa proprio oggi- del Tribunale di Nocera Inferiore, del Tribunale di Cremona) e la interpretazione di “compromesso” delle sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 25 settembre-12 ottobre n.17406) che, alla luce dei principi generali dell’ordinamento, ha ritenuto applicabili i parametri alle liquidazioni giudiziali intervenute dopo l’entrata in vigore del decreto ma solo per le prestazioni professionali non ancora completate, ancorché iniziate e svolte in epoca precedente, quando erano in vigore le tariffe abrogate. Parodi ha così ripercorso le “condizioni” poste dalla giurisprudenza costituzionale in presenza delle quali è possibile giudicare legittima una disciplina retroattiva: la presenza di una «effettiva causa giustificatrice», ciò che induce ad assoggettare la legge retroattiva ad un sindacato di costituzionalità particolarmente rigoroso in relazione al principio di eguaglianza (Corte cost. 429/91; 440/92; 283 e 424/93; 6/94; 137/2009) ed in riferimento al principio di ragionevolezza (ex plurimis, Corte cost., sentt. 191 e 320/2005); il rispetto dell’ l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica “che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto” (In tal senso sent. n. 822/88 e anche Corte cost. sentt. 349/85; 39 e 424/93; 416/99; 446/2002; 234 e 364/2007; 206 e 236/2009, 302/2010); e, rifacendosi alla tutela sovranazionale dei diritti fondamentali, con la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo ricordata dalla Corte costituzionale con sent. n. 311 del 2009, l’eccezionale ricorrere di “motivi imperativi di interesse generale”, unici a poter superare il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo sancito dall’articolo 6 della CEDU, che vietano l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia destinata a influenzare l’esito della controversia”. “Quanto precede presuppone che il d.m. n. 140 sia fedelmente esecutivo dei meccanismi abrogativi previsti dall’art. 9 del d.l. n. 1/2012. In caso contrario, ove la retroazione dei nuovi parametri dovesse anche solo in parte ricondursi a scelte autonome dell’autorità regolamentare, il d.m. sarebbe illegittimo, giacché il principio di irretroattività è inderogabile da parte della fonte regolamentare, subordinata alla legge e dunque all’articolo 11 delle disp. prel., nel quale il termine “legge” va inteso in senso ampio”, sottolinea Parodi. Da qui il dubbio di legittimità, essendo il decreto ministeriale intervenuto a coprire il vuoto normativo

 

 

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