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LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

PRINCIPI GENERALI

Sul medico, quale esercente una professione sanitaria, svolgendo servizio di pubblica necessità ed in taluni casi assumendo la qualifica di incaricato di pubblico servizio o di pubblico ufficiale (medico), con un ulteriore carico di specifici doveri e responsabilità, ricadono specifici oneri e doveri.

A carico dei sanitari è riconosciuta una responsabilità:

-      civile: che implica un danno patrimoniale da risarcire;

-      penale: di natura personale, consegue al compimento,deriva dalla realizzazione da parte del soggetto attivo, di un reato cui il legislatore prevede una sanzione;

-      amministrativa: importa un danno realizzato da parte del sanitario, a carico di interessi pubblici dello Stato o di altri Enti pubblici;

-      disciplinare: deriva dalla violazione di specifici obblighi la cui inosservanza implica sanzioni disciplinari.

Qualsivoglia giudizio in ordine ad eventuale responsabilità professionale importa verifica ed accertamento del rapporto di causalità materiale tra azione (commissiva/omissiva) del sanitario e danno realizzatosi.

Per quanto concerne diverse fattispecie di responsabilità professionale a carico dell’infermiere nonché del medesimo al quale – in via transitoria - è assegnata, in via transitoria, la funzione di “coordinamento” (caposala), giova la pur sintetica esposizione delle disposizioni che regolano l’esercizio professionale dell’attività di infermiere.

Anzitutto, la carenza normativa che differenzia il ruolo di coordinatore rispetto all’infermiere rende equiparabile – sotto il profilo legislativo - le due figure.

In accordo con la legge 42/1999, l’infermiere è un esercente una professione sanitaria; il Codice Civile, all’art. 2229, prevede che l’infermiere è un esercente una professione intellettuale ed esplica la sua attività a seguito del conseguimento del diploma di laurea o titolo equipollente riconosciuto dallo stato ed è iscritto all’albo professionale.

Infine, l’ art. 358 del Codice Penale prevede che qualora l’infermiere risulti inserito in una struttura pubblica (assistenziale), è una persona incaricata di pubblico servizio.

1) Giova citare il DM n. 739/94 secondo cui la figura di infermiere responsabile dell’assistenza generale infermieristica è quella di un professionista intellettuale, competente, autonomo e responsabile.

2) La nuova normativa (successiva al DPR 128/1969, art. 41) precisa in quattro elementi l’area di competenza professionale dell’infermiere:

-        il codice deontologico;

-        il profilo professionale;

-        l’ordinamento didattico;

-        la formazione post-base.

3) Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del campo Sanità (CCNL), biennio economico 2000/2001, relativamente all’art. 10 (“Coordinamento”) nella parte in cui recita: “È prevista una specifica indennità per coloro cui sia affidata la “funzione di coordinamento” delle attività dei servizi di assegnazione, nonché del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed – ove articolata la suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato. L’indennità di coordinamento si compone di una parte fissa ed una variabile. In prima applicazione l’indennità di funzione di coordinamento … è corrisposta in via permanente ai CPSI – caposala – già appartenenti alla categoria D e con reali funzioni di coordinamento … ”.

 

LA RESPONSABILITA’ PENALE

 

La responsabilità penale deriva dal commettere un fatti (per commissione/omissione) preveduto dalla legge quale reato.

La responsabilità penale può essere dolosa o colposa, secondo il diverso elemento psicologico psicologico.

In accordo con l’art. 42 C.P., sussistono situazioni di imputabilità senza responsabilità: “nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà ”.

L’art.27 della Costituzione, al I comma sancisce: “La responsabilità penale è personale”.

Responsabilità dolosa

Prevede la volontà dell’azione.

L’accertamento medico-legale, in tale fattispecie di reato è circoscritto generalmente in tre distinte situazioni:

1.  trattamento sanitario praticato anche nel caso di un esplicito dissenso manifestato dal paziente;

2.  trattamento sanitario praticato in assenza della preliminare acquisizione di consenso;

3.  trattamento sanitario praticato previo consenso antitetico all’ordine pubblico ed il buon costume.

 

1) Dissenso del paziente

Sotto il profilo pratico, l’esempio statisticamente più frequente, risulta inerente al rifiuto di sottoporsi a trattamenti emo-trasfusionali da parte di tutti quei soggetti (testimoni di Geova) che per motivi religiosi rifiutano l’ipotesi di sottoporsi a tale trattamento terapeutico.

Il dissenso del paziente deve essere in massima parte rispettato.

Ovviamente, tale orientamento giuridico riconosce due importanti eccezioni:

1)  tutti i casi di trattamento sanitario obbligatorio (vaccinazioni obbligatorie);

2)  i casi in cui si configura stato di necessità (art. 54 C.P.).

 

2)          Assenza della preliminare acquisizione di valido consenso informato.

A tal proposito, giova ricordare l’articolo 32 della Costituzione nella parte in cui recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

3) Consenso in contrasto con l’ordine pubblico ed il buon costume

Non risulta sufficiente la sola acquisizione di un valido consenso prestato dal paziente nei casi in cui la manifestata volontà a disporre del proprio corpo risulta antitetica all’ordine pubblico e al buon costume”.

 

Responsabilità colposa

Risulta regolata dall’art. 43 C.P. nella parte in cui recita: “quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza delle leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Ne consegue che l’elemento distintivo di tale fattispecie di reato risulta la mancanza di volontà nel determinare l’evento.

Distinguiamo una colpa specifica o generica:

  • la colpa specifica deriva da l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline;
  • la colpa generica importa una condotta caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza

 

Colpa per negligenza

La negligenza può essere opportunamente definita ed individuata non osservanza delle regole sociali che indicano i doveri di diligenza derivanti dalla comune esperienza o dalle esigenze di normale accortezza nello svolgimento di determinate attività.

Colpa per imprudenza

In tutti quei casi privi dei requisiti di accuratezza, impegno, attenzione, ecc.

Colpa per imperizia

Con riferimento alle professioni sanitarie, il giudizio medico-legale dovrà necessariamente tener conto delle specifiche difficoltà proprie del caso di specie.

A tal proposito, giova ricordare l’art. 2236 C.C. che circoscrive – nei casi di particolare difficoltà - la punibilità soltanto nei casi di colpa grave.

Più specificamente, la colpa grave è richiesta unicamente nell’individuazione di un comportamento imperito.

 

RESPONSABILITÀ PENALE DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO

 

Per quanto concerne la professione infermieristica si è chiamati a rispondere sotto il profilo di responsabilità penale in tutti quei casi di inosservanza di specifici doveri.

In ordine al del coordinatore infermieristico (caposala) giova la sintetica elencazione di taluni doveri:

  • coordinamento e controllo del lavoro degli infermieri in relazione alla somministrazione delle terapie;
  • informazione e controllo, in qualità di preposto, del lavoro degli infermieri in rapporto all’esecuzione, in base ai vigenti protocolli, della raccolta, conservazione ed invio al laboratorio analisi del materiale per le ricerche diagnostiche, con particolare riguardo nella prevenzione del rischio, all’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e indumenti, come previsto dalla legge n. 81/08;
  • informazione agli infermieri e controllo delle procedure d’isolamento sanitario basato su linee guida;
  • informazione ai propri collaboratori, predisposizione e controllo dei mezzi necessari per l’immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in condizione di sicurezza e per il trasporto di agenti biologici;
  • verifica della adeguata presenza di servizi igienici, spogliatoi separati per il deposito di abiti civili e gli indumenti potenzialmente infetti; osservanza del divieto di fumare;
  • conservazione di presidi e medicinali secondo le disposizioni normative o dell’ente e tenuta dei relativi carteggi di carico-scarico;
  • corretta esecuzione delle pratiche amministrative;
  • controllo della pulizia e del microclima ambientale ai fini della prevenzione delle infezioni nosocomiali e segnalazione di qualunque situazione che appaia rischiosa o nociva per la salute di operatori e utenti.

I possibili reati cui il coordinatore infermieristico può incorrere riconoscono tanto fattispecie esclusivamente professionali, quanto reati comuni:

a)    reati tipicamente professionali:

-   interruzione di ufficio o servizio pubblico (art. 340 C.P);

-   omissione o rifiuto di atti di ufficio (art. 328 C.P.);

-   omissione di reato (art. 365 C.P.);

-   omissione di denuncia di reato all’autorità giudiziaria (art. 362 C.P.);

-   rivelazione di segreto professionale o di segreto d’ufficio, nella quale può incorrere tra gli altri, la persona incaricata di pubblico servizio (artt. 622 e 326 C.P.);

-   conservazione di farmaci scaduti accanto a quelli di uso corrente (art. 443 C.P.);

-   detenzione di medicinali difettosi, con l’obbligo di immediata segnalazione al Ministero della Salute, Dipartimento per la valutazione dei medicinali (DM Sanità 27 febbraio 2001);

-   abbandono di persone minori od incapaci (art. 591 C.P.). Affidare nel turno i ricoverati a personale insufficiente o non competente, pur in caso di grave carenza di personale, può comportare una responsabilità penale per i vertici aziendale ma, in alcuni casi, anche per il coordinatore infermieristico. L’eventuale mancanza delle risorse minime indispensabili comporta responsabilità di altri; tuttavia è necessario che il coordinatore infermieristico segnali per iscritto a chi di dovere la situazione “formulando le proposte opportune per rimuovere le difficoltà" (DPR n.3/1957, art. 16).

b)    reati comuni a tutti:

-   lesione personale colposa (art. 590 C.P.);

-   omicidio colposo (art. 589 C.P.);

-   sequestro di persona (art. 605 C.P.).

 

LA RESPONSABILITÀ CIVILE

 

La responsabilità civile prevede l’inadempimento di obbligazioni dovute nei confronti del paziente e derivanti dalla sussistenza di un rapporto di tipo contrattuale o di tipo extracontrattuale.

 

Responsabilità contrattuale

In accordo con gli articoli 2229-2230 C.C., l’attività del medico e dell’infermiere, intesa sotto il profilo giuridico, risulta definita come un contratto d’opera intellettuale alla quale è concessa discrezionalità nell’esecuzione (relativamente alla prestazione) e dal compimento di una prestazione che prescinda dal risultato conseguito (obbligazione di mezzi e non di risultati).

Fatte salve talune e specifiche eccezioni, su tutti gli esercenti una professione sanitaria (compreso l’infermiere), incombe unicamente  l’obbligo di mettere in atto tutti i mezzi possibili al fine di realizzare la guarigione del paziente.

Questa circoscrizione relativa all’obbligazione risulta di fondamentale rilevanza ai fini dell’accertamento di responsabilità poiché esclude profili di colpa in tutti quei casi di mancato raggiungimento dei risultati auspicati ma caratterizzati dalla dovuta diligenza da parte dei sanitari ovvero infermieri.

L’art. 1176 C.C. (Diligenza dell’adempimento) sancisce che “nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia” e che questa, nell’esercizio di un’attività professionale, “deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. La giurisprudenza ha successivamente interpretato il concetto del “buon padre di famiglia” alla pari di quello “regolato ed accorto professionista”.

L’articolo su citato importa che l’esercente una professione sanitaria risponde anche nei casi di colpa lieve.

In ordine alla graduazione della colpa distinguiamo la colpa in: lata, lieve, lievissima.

È lata quando ‘evento dannoso si sarebbe potuto prevedere; è lieve quando l’evento si sarebbe potuto prevedere unicamente mediante condotta diligente; è lievissima quando l’evento si sarebbe potuto prevedere unicamente in caso di diligenza straordinaria ovvero non comune.

Ritornando al concetto di responsabilità contrattuale, giova citare l’art. 1218 C.C. (“Responsabilità del debitore”) che recita “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Ne deriva che, in caso di responsabilità contrattuale, abbia l’onere della prova ricade sul professionista sanitario: provare che l’inadempimento - ovvero il ritardo nell’adempimento - della prestazione professionale sia dovuta a causa a lui non imputabile (onere della prova a carico del debitore).

 

Responsabilità extracontrattuale (o aquiliana)

In accordo con l’ art. 2043 C.C.: “…qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno …”.

In un primo momento di riflessione consente di affermare come la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale differiscono sotto il profilo dell’ “onere della prova” .

In altri termini, il paziente, per dimostrare la responsabilità di un sanitario, dovrà vedere accertato che lo stesso abbia attuato una condotta colposa o dolosa della quale si sia cagionato un danno ingiusto.

Relativamente ai casi circoscritti alla fase di esecuzione della prestazione, giova citare l’art. 2236 C.C. (“responsabilità del prestatore d’opera”: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.” ), che importa - limitatamente alle prestazioni implicanti la risoluzione di particolari “problemi tecnici di speciale difficoltà” - un accertamento della responsabilità del professionista riferita ai soli casi di “dolo o colpa grave”.

Utile risulta sottolineare come l’art 2236 C.C. e più specificatamente nella parte in cui limita la responsabilità ai casi di colpa grave, si riferisca alla sola imperizia (e non imprudenza e negligenza).

 

LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

I riferimenti normativi dai quali deriva la responsabilità disciplinare riconoscono una comune origine, tanto per l’infermiere, quanto per gli operatori sanitari in generale. La responsabilità disciplinare dell’infermiere deriva da:

  • i doveri cui è tenuto in qualità di iscritto al Collegio e – conseguentemente - al rispetto del codice deontologico;
  • gli obblighi derivanti dall’adempimento del contratto di lavoro.

Il nuovo codice deontologico dell’infermiere (testo approvato dal Comitato centrale della Federazione IPASVI nel febbraio 1999, recepito dalla legge n. 42/1999), regola i principi fondamentali che devono caratterizzare l’attività professionale dell’infermiere:

  • art. 6.1: “L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l’equo utilizzo delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale”.
  • art. 6.3: “L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o a disservizi provvede a dare comunicazione e, per quanto possibile, a ricercare la situazione più favorevole”.

Tutte le infrazioni di norme deontologiche da cui derivano  sospensioni disciplinari, determinano – sospensioni -  o la radiazione dal servizio.

La responsabilità disciplinare propria di inottemperanza  agli obblighi contrattuali si configura nel caso di una condotta che non sia conforme agli impegni contrattuali assunti. A tal proposito, giova citare l’art. 13 del DPR n. 3/57(“Comportamento in servizio”) prescrive: “Nei rapporti con i superiori e con i colleghi l’impiegato deve ispirarsi al principio di un’assidua e solerte collaborazione; deve essere di guida e di esempio ai dipendenti, in modo da assicurare il più efficace rendimento del servizio.”.

L’art. 16 (“Dovere verso il superiore”), commi 1 e 2, dispone: “L’impiegato deve eseguire gli ordini che gli siano impartiti dal superiore gerarchico relativamente alle proprie mansioni.

Quando, nell’esercizio delle sue funzioni, l’impiegato rilevi difficoltà derivanti dalle disposizioni impartite dai superiori per l’organizzazione, deve riferirne per via gerarchica, formulando le proposte a suo avviso opportune per rimuovere la difficoltà. Parimenti per via gerarchica deve essere inoltrata ogni altra istanza dell’impiegato.

L’art. 17 (“Limiti al dovere verso il superiore”) definisce nei termini seguenti i limiti al dovere verso il superiore: “L’impiegato, al quale, dal proprio superiore,sia impartito un ordine che egli ritenga palesemente illegittimo, deve farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni. Se l’ordine è rinnovato per iscritto, l’impiegato ha il dovere di darvi esecuzione. L’impiegato non deve comunque eseguire un ardine del superiore quando l’atto sia vietato dalla legge penale”.

Responsabilità amministrativa-disciplinare

Il datore di lavoro è dotato di un potere disciplinare entro i limiti sanciti dal Contratto Collettivo che riguarda la Sanità Pubblica.

Tali limiti risultano strettamente correlati al concetto di

  • Tassatività
  • Proporzionalità

Il Decreto Legislativo 29/93, introduce le nuove figure di sanzioni:

a) rimprovero verbale;

b) rimprovero scritto (censura);

c) multa con importo non superiore a 4 ore di retribuzione;    (Queste tre sono per questioni di lieve entità: es.  orario di lavoro)

d) sospensione del lavoro e della retribuzione fino a un massimo di 10 giorni (es.: comportamenti minacciosi o diffamanti);

e) licenziamento con preavviso: quando il lavoratore compie atti tali da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro(“in tronchetto”) persistente insufficienza del rendimento di compiti assegnati;

f)   licenziamento senza preavviso: da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria (“

in tronco”).

Tutte le sanzioni disciplinari, tranne il rimprovero verbale, devono essere adottate previa comunicazione resa in forma scritta.

Tale rimprovero deve necessariamente avvenire entro 20 giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell’Istruttore.

Il procedimento disciplinare deve essere concluso entro 120 giorni; in caso contrario risulterà estinto.

L’art. 31 definisce la sospensione cautelare:

  • sospensione cautelare in caso di procedimento disciplinare:

art. 31: L’azienda o l’ente può disporre l’allontanamento dal lavoro per un periodo non superiore a 30 giorni con conservazione della retribuzione.

  • sospensione cautelare in caso di procedimento penale: art. 32: Il dipendente colpito da misura restrittiva della libertà è sospeso d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione o anche senza restrizione della libertà in caso di rinvio a giudizio ovvero, l’ente può prolungare la sospensione fino alla sentenza definitiva.

art. 15 della legge 55/90: Al dipendente è corrisposta un’indennità pari al 50% della retribuzione fissa, più gli assegni del nucleo familiare.

art. 3 della legge n. 97/01: In caso di rinvio a giudizio, l’amministrazione dell’ente:

-   può trasferire il dipendente in un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio;

-   può assegnare al dipendente un nuovo incarico.

 

Entro i 10 giorni successivi alla comunicazione della sentenza, l’amministrazione può:

1)  reintegrare il lavoratore nel vecchio incarico;

2)  far permanere il lavoratore nel nuovo incarico;

3)  non reintegrarlo.

In caso di condanna, si ha l’estinzione del rapporto di lavoro nel caso in cui la reclusione sia non inferiore ai 3 anni.

 

Responsabilità disciplinare ordinistica

L’art. 8 del DLCPS n. 23/46 stabilisce che per l’esercizio delle professioni sanitarie è necessaria l’iscrizione al relativo albo, così come recepito dal DM 739/94 (profilo professionale).

Le sanzioni disciplinari comminabili erano previste dal DPR 5 aprile 1950: “I sanitari che si rendono colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del consiglio del collegio della provincia nel cui albo sono iscritti”.

Le sanzioni che il Consiglio può, attualmente, comminare sono:

  • ammonimento
  • censura
  • sospensione dell’esercizio professionale da 1 a 6 mesi
  • radiazione dall’albo

 

Altre fonti di responsabilità sono rappresentate

  • dall’obbligo del segreto professionale;
  • dal referto;
  • dalla prestazione della propria opera in caso di calamità.

 

PRINCIPALI REATI DI INTERESSI INFERMIERISTICO

 

Esercizio abusivo della professione infermieristica

Le condizioni dell’esercizio legale della professione infermieristica sono:

  • il possesso del diploma di infermiere o infermiere professionale;
  • l’iscrizione al collegio IPASVI;
  • il rispetto del Codice Deontologico.

L’esercizio legale ovvero abusivo della professione infermieristica, regolato dall’art. 348 C.P..

Giova elencare talune sanzioni citate  dall’art. 348 cp:

  • prestazioni effettuate a titolo gratuito;
  • prestazioni compiute con il consenso di chi le ha ricevute;
  • prestazioni compiute con l’autorizzazione e/o la presenza del professionista abilitato.

Di pari, l’art. 348 C.P. disciplina l’esclusività di atti tipici degli infermieri:

  • prelievo capillare e venoso del sangue;
  • esecuzione e somministrazione di fleboclisi;
  • cateterismo maschile e femminile.

Somministrazione e detenzione di farmaci guasti od imperfetti

In accordo con l’art.443 C.P.: “… chiunque ponga in commercio o somministri medicinali guasti o imperfetti sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con una multa non inferiore a 100 euro …”.

Atteso che per farmaco si intende: “ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, nonché ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo o all’animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche umane o animali”.

Gli oneri che ricadono sul caposala e gli infermieri, per non incorrere nel reato di cui all’art. 443 C.P. sono così riassunti:

  • nel controllo della scadenza del farmaco;
  • nel controllo dell’integrità della confezione;
  • nel rispetto delle norme previste per la conservazione.

 

Disciplina della detenzione dei farmaci campione

Il personale infermieristico, a differenza del medico, è autorizzato alla sola somministrazione del farmaco.

Detenzione di farmaci difettosi o contenenti corpi estranei

Giova citare il decreto del Ministero della Sanità del 27 febbraio 2001 nella parte in cui recita:

1. gli operatori sanitari che rilevano la presenza di corpi estranei o difetti di medicinale o che ricevono una segnalazione in tal senso da parte di un privato cittadino, devono innanzitutto salvaguardare l’integrità del confezionamento del prodotto medesimo ovvero, nel caso quest’ultimo sia stato manomesso per l’impiego, operare una chiusura provvisoria che assicuri la conservazione del prodotto nello stato in cui è stato rilevato;

2. gli stessi operatori sanitari devono dare immediata comunicazione al Ministero della Salute, Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e le Farmacovigilanza, ufficio V, utilizzando il modello A allegato che costituisce parte integrante del presente decreto.

3. L’ufficio V del diparti per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza, competente, tra l’altro, in materia di revoche, sequestri, ritiri lotto, sospensione e sistema di allerta rapido internazionale dei farmaci per uso umano, dispone, se del caso, a tutela della salute pubblica, i provvedimenti cautelativi preliminari sul lotto oggetto della segnalazione, così come previsto dal decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178 e successive modificazioni ed integrazioni, avvalendosi, eventualmente del Nucleo Antisofisticazioni dei Carabinieri per la Sanità;

4. Il campione di medicinale oggetto della segnalazione, qualora integro, ad esclusione di quanto previsto al successivo comma 5, deve essere inviato, corredato della documentazione di cui al comma 2, a cura del segnalante e nel rispetto delle condizioni di corretta conservazione durante il trasporto, all’Istituto Superiore di Sanità che effettua gli opportuni accertamenti. I relativi esiti sono trasmessi all’ufficio V del Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza, nonché al segnalante. L’ufficio V adotta dopo opportune valutazioni, i provvedimenti definitivi previsti dal D Lgs 178/1991 e successive modificazioni ed integrazioni, avvalendosi, eventualmente, del Nucleo Antisofisticazioni dei Carabinieri per la Sanità;

5. Il campione di medicinale oggetto della segnalazione, qualora non integro o contenente corpi estranei identificabili a vista, non deve essere inviato all’Istituto Superiore della Sanità. L’ufficio V del Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la farmacovigilanza procede all’adozione di quelle iniziative ritenute utili per assicurare il rispetto delle norme di buona fabbricazione da parte dell’officina produttrice.

OBBLIGHI D’INFORMATIVA NEI CONFRONTI DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA

 

LE QUALIFICHE GIURIDICHE

 

In base a quanto stabilito dall’art. 357 cp, Pubblico Ufficiale è colui che svolge la sua attività per soddisfare finalità dello Stato o di altro Ente o Istituto pubblico e che riceve il suo potere di autorità e di rappresentanza direttamente dallo Stato o dall’Ente pubblico considerato. Acquistano tale qualifica gli impiegati dello stato o di altro Ente o Istituto pubblico od ogni altra persona, sebbene non dipendente dallo Stato che eserciti, sia pure temporaneamente, una funzione pubblica (ossia legislativa, amministrativa o giudiziaria). Sono dunque da considerare tali:

  • i consulenti tecnici d’ufficio o i periti;
  • i direttori sanitari di un ospedale o di un istituto universitario;
  • i medici preposti dalla pubblica amministrazione a controllare l’effettiva sussistenza di una malattia del dipendente e quindi la legittimità dell’assenza dal servizio;
  • qualsiasi altro medico od odontoiatra che presti la propria attività come dipendente sebbene non di ruolo, della struttura pubblica;
  • il medico INPS o il medico INAIL nello svolgimento dei compiti di Istituto;
  • il medico specialista ambulatoriale dell’ASL nell’espletamento della sua attività;
  • il medico che presti la sua opera libero-professionista per una Casa di Cura convenzionata;
  • i medici della Polizia di Stato, i medici militari, i medici dell’amministrazione penitenziaria, i medici di bordo, i medici dipendenti dal Ministero della sanità o di altri enti pubblici, i medici di sanità marittima, aerea e di frontiera, i medici carcerari, i medici necroscopi, etc.

L’art. 358 cp stabilisce che Incaricati di Pubblico Servizio sono gli impiegati dello Stato o di altro Ente pubblico che prestino, permanentemente o temporaneamente, a qualunque titolo, un pubblico servizio, ovvero un’attività caratterizzata dalla mancanza dei poteri propri della funzione pubblica e che lo Stato oppure un altro Ente pubblico, espleta servendosi di persone appositamente incaricate, al fine di soddisfare i bisogni della collettività.

Acquistano la qualifica di Esercenti un Servizio di Pubblica Necessità, i privati cittadini che svolgono professioni, il cui esercizio per legge sia vietato senza la speciale abilitazione dello Stato, quando della loro opera il pubblico per legge è obbligato a valersi; ovvero i privati cittadini che, pur non esercitando una pubblica funzione o un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.

In sostanza, la differenza tra pubblico servizio e servizio di pubblica necessità consiste nel fatto che il primo viene espletato dallo Stato (mediante persone direttamente incaricate), il secondo viene espletato da privati che abbiano ottenuto dallo Stato una regolare abilitazione.

Si evince, pertanto, chiaramente che l’attività di infermiere non sia in alcun modo riconducibile alla nozione di pubblico ufficiale, caratterizzata dalla funzione amministrativa, che l’infermiere non ha. L’attività di questi rientra in quella dell’incaricato di pubblico servizio, qualora presti la sua opera come dipendente del Servizio Sanitario Nazionale o come dipendente di Casa di Cura privata convenzionata. Qualora l’infermiere operi in regime di libera professione o in strutture private non convenzionate (o non accreditate), è valida per lui la qualifica prevista dall’art, 359 cp che definisce le “persone esercenti un servizio di pubblica necessità”.

 

IL REFERTO

 

Il referto è l’atto scritto con il quale un esercente una professione sanitaria porta a conoscenza dell’autorità giudiziaria fatti in cui ha prestato la propria assistenza o opera che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio. L’obbligo del referto così è regolato dall’art. 365 cp (“Omissione del referto”): “Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria, prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debbe procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferire all’autorità indicata nell’art. 361, è punito con la multa fino a lire 1.000.000. questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona ssistita a procedimento penale”.

Ne consegue che l’obbligo del referto incombe su tutti coloro che esercitano una professione sanitaria (i medici-chirurghi, gli odontoiatri, l’infermiere, l’ostetrica, la vigilatrice d’infanzia, etc.).

L’obbligo di redigere referto, ricade tanto nel caso di assistenza quanto di opera. Per assistenza si intende l’attività diagnostica-terapeutica esplicata su persona vivente; per opera si intende qualsiasi attività sanitaria che abbia finalità di accertamento.

L’art. 334 cpp regola tempi e modalità di trasmissione: “Chi ha l’obbligo del referto deve farlo pervenire entro 48 ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al Pubblico Ministero o a qualsiasi Ufficiale di Polizia Giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera, ovvero in loro mancanza, all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria più vicino.

Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga ad identificarla, nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze del fatto, i mezzi con cui è stato commesso e gli effetti che ha causato e può causare. Se più persone hanno prestato la propria assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto con la facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto”.

Il reato che configura l’omissione di referto è quello di pericolo nei confronti dell’amministrazione della giustizia. Difatti, sia il ritardo (oltre 48 ore) che l’omissione di referto possono pregiudicare l’interesse dello Stato a perseguire l’autore di un reato. Un referto mal compilato, equivale alla sua omissione.

Ritornando all’art. 365 C.P. e più specificamente ai casi in cui vige l’obbligo di referto, giova ricordare come i seguenti:

 

1.  Delitti contro la vita

  • omicidio volontario
  • omicidio colposo
  • omicidio preterintenzionale
  • omicidio del consenziente
  • morte o lesioni conseguenti ad altro delitto
  • istigazione o aiuto al suicidio
  • infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale.

 

2.  Delitti contro l’incolumità individuale

  • lesione personale dolosa che induca una malattia superiore ai 20 giorni ovvero quanto la durata della malattia sia inferiore ma sussistano le circostanze aggravanti specifiche della lesione personale
  • lesione personale colposa grave o gravissima.

 

3.  Delitti contro la libertà individuale

  • violenza privata
  • incapacità procurata mediante violenza

 

4.  Delitti contro l’incolumità pubblica

  • attività pericolose per la salute pubblica che espongono al pericolo di epidemie e intossicazione.

 

5.  Delitti sessuali

  • violenza sessuale commessa dal genitore, dal tutore, dal pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio
  • se la violenza sessuale sia connessa ad altro delitto perseguibile d’ufficio.

 

6.  Interruzione illegale di gravidanza

 

7.  Delitti contro la famiglia

  • maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli
  • abuso dei mezzi di correzione o disciplina

 

8.  Delitti contro la pietà dei defunti

  • vilipendio di cadavere
  • distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere
  • occultamento di cadavere
  • uso illegittimo di cadavere.

 

L’obbligo del referto incombe su tutti i sanitari che hanno prestato la loro assistenza e dunque non solo sul medico ma anche sull’infermiere. Infatti, nel caso in cui più sanitari abbiano prestato la loro assistenza od opera nella medesima circostanza, sono tutti tenuti a presentare referto che può essere fatto con atti separati ovvero mediante atto unico da tutti sottoscritto.

Relativamente alla parte in cui l’art. 365 C.P. recita: “… questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale …”.

Giova ricordare come l’intenzione del Legislatore risulti finalizzata ad anteporre il bene salute a quello di giustizia.

Ulteriori momenti di esenzione del referto sono previste dall’articolo 384 C.P., che prende in esame il caso i cui il referto possa recare pregiudizio alla libertà e all’onore del sanitario referente o ad un suo prossimo congiunto: “… non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento della libertà o nell’onore …”.

 

LA DENUNCIA DI REATO

La denuncia di reato o rapporto è l’atto scritto con il quale un esercente una professione sanitaria che assuma la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio denuncia all’autorità giudiziaria reati per i quali si debba procedere d’ufficio e di cui abbia avuto notizia nell’esercizio e a causa delle sue funzioni.

L’obbligo della denuncia deriva dalle disposizioni degli artt 361 e 362 cp: “Il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio che omettono o ritardano di denunciare all’Autorità giudiziaria un reato di cui hanno avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni è punito con la multa fino a lire 1.000.000”.

 

 

L’OBIEZIONE DI COSCIENZA

 

In accordo con l’articolo 9 della Legge 194/78 il  medico ed operatore sanitario hanno la possibilità di eccepire obiezione di coscienza relativamente ad un certo tipo di intervento, previa comunicazione al direttore sanitario della relativa struttura ospedaliera e/o Casa di Cura.

Anche l’articolo 46 del codice deontologico medico e punto 2.5 di quello infermieristico considerano praticabile tale scelta.

Pertanto, l’obiezione di coscienza consente, sebbene in aree di interesse circoscritto, al medico di non sottostare a quegli obblighi di legge che risultano antitetici alla propria moralità, credo religioso ecc.

A titolo di esempio, giova riportare il caso di quel medico che si rifiuta di operare nell’ambito delle interruzioni di gravidanza; avendo ben presente – tuttavia – la circoscrizione di tale possibilità al solo atto operatorio e non alla richiesta assistenza sanitaria pre- e post operatoria.

La revoca dell’obiezione può aversi – in qualsiasi momento – sia sotto esplicita richiesta dell’operatore sia (nel caso di revoca d’Ufficio) per coloro i quali pur avendola sollevata partecipino a procedure finalizzate all’interruzione di gravidanza.

 

 

 

 

SEGRETO PROFESSIONALE

 

L’art. 622 c.p., recita: “Chiunque avendo notizia per ragione del proprio stato o ufficio o, nella propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio od altrui profitto, è punito, se del fatto può derivare nocumento con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30,98 ad euro 516,45. Il delitto è punibile a querela della persona offesa”.

Con il termine “segreto” si intende tutto ciò che risulta precluso alla conoscenza altrui.

L’interpretazione del su indicato articolo consente di affermare che la punibilità dell’infrazione riconosce le seguenti condizioni:

1)  deve trattarsi di cosa appresa per ragione della professione;

2)  deve trattarsi di un segreto;

3)  deve mancare una giusta causa che autorizzi la rivelazione;

4)  dalla rivelazione deve poter derivare nocumento;

5)  colui che è stato danneggiato deve presentare querela.

 

In alcuni casi, anziché di infrazione, si dovrà più opportunamente parlare di trasmissione del segreto, così come nel caso di assistenti, studenti, infermieri, ecc.

Giova ricordare come il decesso del soggetto passivo del reato, non esime il professionista sanitario dall’obbligo di mantenere il segreto.

La rivelazione di segreto professionale riconosce sia condotta “attiva” (es. trasmissione diretta) sia una condotta “passiva” (es. consentendo ad estranei l’accesso ai dati contenuti in Cartella Clinica).

L’illecita rivelazione del segreto professionale assume, pertanto, rilevanza penale.

Le giuste cause di rivelazione, opportunamente contemplate, risultano essere le seguenti:

  • le denuncie sanitarie obbligatorie;
  • i certificati obbligatori;
  • il referto, la denuncia giudiziaria, la perizia e la consulenza tecnica, l’ispezione corporale ordinata dal Giudice, gli arbitrati, le visite medico-legali di controllo presso una struttura sanitaria pubblica;
  • il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.);
  • caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.);
  • costrizione mediante violenza (art. 46 c.p.) od errore (art. 48 c.p.);
  • stato di necessità (art. 54 c.p.);
  • per difendere la propria reputazione da un’accusa ingiusta (art. 52 c.p.).

La “giusta” causa di rivelazione di segreto professionale, trova il proprio fondamento nella tutela superiore dell’interesse pubblico.

La rivelazione di segreto professionale, oltre che nel codice penale, risulta essere espressamente richiamata all’interno del Codice Deontologico dell’Infermiere nella parte in cui l’articolo 4.8 così recita: “L’infermiere rispetta il segreto professionale non soltanto per obbligo giuridico ma, per intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l’assistito ripone in lui”.

 

Art. 45 c.p. “Non è imputabile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”.

Art. 46 c.p. “Non è imputabile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi”.

Art. 52 c.p. “Non è imputabile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità  di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa”.

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