IL XIX SECOLO VEDE LA NASCITA, IN MUSICA, Dl NUMEROSE SCUOLE NAZIONALI: MOVIMENTI DI PENSIERO che, in un momento di grandi fervori patriottici, affiancano il loro linguaggio musicale allo sforzo politico di uscire dall`orbita delle grandi monarchie ispirandosi alle tradizioni del proprio paese. Svincolarsi dai modelli del sinfonismo viennese classico e sostituirli con forme connesse al folclore e al canto popolare fu in quegli anni per molti compositori dell’Europa centrale e dell'area scandinava un traguardo irrinunciabile. Nasceva in questo modo una figura di musicista analoga a quella del poeta-vate, cantore di una riscoperta delle radici nazionali, l'acceso propagandista di ideali di democrazia. Una melodia possiede una forza trascinante e universale sconosciuta ai versi poetici: ne sapevano qualcosa i francesi, che, all'indomani dell’abbattimento della monarchia, avevano difeso i confini della patria infiammandosi al canto della Marsigliese. Su questa strada si incamminarono molti musicisti nel corso dell'Ottocento, tra i quali ricordiamo Michail Glinka nella Russia zarista, Edvard Grieg in Norvegia, ]ean Sibelius in Finlandia. Anche i popoli dell'area boema, corrispondente all'odierna repubblica Ceca e alla Slovacchia, avvertivano fortemente la necessità di sottrarsi al giogo dell’impero Austro-ungarico. Una città come Praga, da sempre gemellata con Vienna e con Budapest e culturalmente molto calata nel clima mitteleuropeo, era assetata di novità. Le insurrezioni del 1848, che percorsero come un incendio tutta l'Europa, vi trovarono terreno fertile. Tanto impetuosa fu la rivolta antimonarchica dei boemi, quanto spietato fu il pugno di ferro con il quale l'autorità centrale di Vienna la domò. Il fondatore della scuola musicale nazionale boema fu Bedrich Smetana (Litomyšl 1824-Praga 1884), figura nobilissima di artista e di patriota che negli ultimi anni di vita venne onorato dai suoi concittadini con quel sentimento di riconoscenza che si tributa ai padri della nazione. Per primo nel suo paese Smetana avvertì con forza la necessità di svincolarsi dai modelli viennesi e dal romanticismo imperante nell'area di lingua tedesca per approfondire il linguaggio peculiare alla sua gente. Il suo lavoro più conosciuto è un ciclo di sei poemi sinfonici noto sotto il titolo complessivo di Ma vlast, La mia patria, e che spaziano dal clima bucolico a quello vivacemente guerresco. Si tratta di un gruppo di composizioni orchestrali scritte fra il 1874 e il 1879; la più nota di esse è senz'altro La Moldova. Antonin Dvorák, di diciassette anni più giovane di Smetana, si inserì nel solco musicale tracciato dal suo predecessore. Non a caso il suo primo successo lo riscosse nel 1873 con Hymflus (Inno), una cantata patriottica. Rispetto a Smetana, tuttavia, Dvorák coltivò una meno programmatica ostilità al classicismo viennese, pur professando ideali musicali tesi al riconoscimento della specifica identità della tradizione ceca. Sostenitore e protettore di Dvorák fu del resto proprio Johannes Brahms, il più illustre esponente del classicismo viennese. A Brahms. Dvorák si rivolse sempre come a un maestro, arrivando ad ispirarsi a lui negli anni della sua maturità artistica. La creatività di Dvorák fu caratterizzata da una facilità inventiva e da una spontaneità melodica che trovano riscontro in pochissimi altri autori. Spesso questo suo sciolto melodizzare ha fatto a torto sospettare che egli fosse più carente sul piano costruttivo architettonico della partitura. Una deficienza, questa, che non trova riscontro nella composizione di opere come la sinfonia denominata Dal Nuovo Mondo con il suo impetuoso e famoso IV movimento. In compenso, la sua vena musicale fresca fa scaturire oggi, l'immagine di un carattere popolare ed espansivo, estremamente attraente. Con i suoi ritmi di danze folcloristiche, Dvorák appare il cantore di un'Arcadia contadina che in anni di piogge acide e di catastrofi ecologiche a tutti appare il riflesso di un Eden perduto.
L'avventura americana.
Gli Stati Uniti hanno sempre tratto nuova linfa dall'immigrazione europea e di altri continenti. L'immigrazione può essere quella disperata prodotta dalla necessità di trovare fortuna altrove, oppure quella lussuosa e riverita dei personaggi pubblici. Negli stessi anni in cui i nostri poveri emigranti sbarcavano in America in cerca di un modo qualsiasi di sopravvivenza, artisti come Enrico Caruso o Rodolfo Valentino attiravano folle di fan all'ombra della statua della Libertà. Anche dalla Cecoslovacchia ha tradizionalmente preso le mosse un imponente flusso migratorio verso le sponde americane. Nel secolo diciannovesimo, il più noto cittadino ceco a visitare gli Usa fu Antonin Dvorák di professione musicista.
Il soggiorno americano del compositore nacque per iniziativa di un'intraprendente signora newyorkese, Jeannette Thurber, moglie di un ricco commerciante, la quale aveva avuto una parte di primo piano nella fondazione del conservatorio nazionale. Quest'istituzione non aveva ancora un direttore, e i membri fondatori pensavano di conferire quell'incarico a un'illustre personalità europea. Particolarmente adatti a questo scopo parevano allora quei musicisti che nel proprio paese avevano saputo ricercare la dimensione espressiva di un linguaggio nazionale, e che pertanto meglio avrebbero saputo aiutare la Confederazione americana a individuare un'autonoma strada musicale. Nel direttore del conservatorio nazionale, insomma, i compositori americani avrebbero dovuto trovare un esempio e una guida. La prima personalità cui i newyorkesi pensarono di rivolgersi fu Jean Sibelius. Alcune difficoltà, però, insorte nello svolgimento dei contatti fra i responsabili dell'istituzione musicale americana e il compositore finlandese finirono tuttavia per orientare la scelta appunto su Dvorák. Questi dapprima declinò l'offerta, sebbene il compenso offertogli (15 mila dollari) fosse per quei tempi davvero principesco, poi, di fronte all'insistenza dei suoi interlocutori, accettò l'incarico per il ristretto arco di due anni. Per questo periodo egli ottenne dal conservatorio di Praga, presso il quale era docente dal 1890, un congedo di due anni. Per gli Stati Uniti il musicista partì il 15 settembre 1892 con la moglie e con due dei suoi quattro figli, Ottilie e Anton. Accompagnato dall'allievo Joseph Kovàrik, che gli fece da guida e da interprete durante il lungo soggiorno, Dvorák giunse a New York con il piroscafo «Saale» e s'insediò nella sua carica di direttore del conservatorio nazionale americano. Quando Dvorak sbarcò a New York una delegazione della stampa era venuta alla stazione marittima per incontrare il nuovo direttore del conservatorio e si trovò di fronte un uomo molto diverso dall'austero professore che si attendeva. «Non è certo una persona che incuta soggezione», scrisse un cronista, «è molto più alto di quanto facciano pensare i ritratti e non ha affatto la ferocia da bulldog che alcuni ritratti gli attribuiscono. Alto più di un metro e ottanta, provvisto di grande dignità naturale, Dvorák mi ha dato l'impressione di uomo originale, naturale. [...] Non è bello di lineamenti ma le sopracciglia sono ben modellate e ha un'espressione molto intensa negli occhi ardenti e nel viso segnato; e quando si anima, chiacchierando, non è facile dimenticare il suo volto›>. Più tardi, in un'intervista concessa al rappresentante del «The New York Tribune», il musicista rivelò i propri intendimenti: «Nei canti negri ho trovato una base sicura per una nuova scuola musicale nazionale. [...] L'America può avere una sua musica, una bella musica che nasce dal suo suolo e che è dotata di un suo carattere peculiare: voce naturale di una libera e grande nazione››.
Il periodo del suo soggiorno americano doveva rivelarsi artisticamente assai produttivo oltre che meno arduo di quanto egli aveva temuto sotto il profilo dell'ambientamento. Nella primavera del 1894, al termine del secondo anno di insegnamento il musicista si risolse a rinnovare per un altro biennio il proprio contratto. Tuttavia nell'agosto 1895, tornato a Praga al termine del suo terzo anno newyorkese, Dvorák scrisse alla Thurber per rassegnare le dimissioni dal suo incarico. La nostalgia di casa aveva avuto il sopravvento. In tutto, era rimasto negli Usa meno di tre anni: un periodo che ha visto nascere capolavori come la Sinfonia Dal Nuovo Mondo e il quartetto per archi in fa maggiore Op. 96 detto appunto Americano. Altri capolavori di Dvorak sono serenata per archi op. 22 , il concerto per violoncello e il concerto per violino e orchestra .
del maestro Nicola Russano
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