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Uno dei massimi compositori della  storia del teatro musicale e direi anzi  della musica.

Questa è un`opinione che ha stentato a farsi strada quando  Puccini era in vita. Tanto è vero che, proprio nell'anno in cui Schönberg (Compositore dell’inizio del 900, fautore della dodecafonia basata sull’uso di tutte le 12 note della scala cromatica)scriveva la sua  “Harmoníelehre” nella quale valuta Puccini  come uno dei compositori più originali  del suo tempo, lo stesso Puccini riceve  in Italia una solenne stroncatura daFausto Torrefranca,un famoso musicologo di quel periodo.  Era tra l'altro uno dei principali rappresentanti di quella generazione di  studiosi che stavano recuperando il  Seicento e il Settecento italiani, che  sostenevano la giovane, allora, “Generazione dell’80” vale a dire i Casella i  Malipiero i Respighi i Pizzetti.  Si tratta di tutti“sinfonisti”. Erano esattamente quelli che  stavano dotando l'Italia di una nuova  letteratura sinfonica con uno sforzo  che nell'Ottocento non era neanche  stato tentato dato il predominio assoluto che il teatro in musica, cioè l’opera lirica aveva avuto. Torrefranca era un  antioperista convinto. Naturalmente  però questo non giustifica la cecità dei  suoi attacchi a Puccini.  Torrefranca si riferisce al fatto che  già allora, intorno  al  1911-12, all`estero si considerava che  la cultura musicale italiana consistesse  soprattutto nell'opera lirica. Egli invece rivendicava, soprattutto al Settecento, di essere stato, e proprio in Italia,  il secolo del Concerto, della Sonata,  della Sinfonia. Partendo dal suo punto  di vista rimproverava perciò a Puccini  d'inchinarsi con le sue opere alla voga  dominante invece di cercare d`impegnarsi nel sinfonismo puro. lnfatti, concludeva Torrefranca:“ll Puccini è oggi il  tipico eroe musicista, la sua passività  artistica, la sua pigrizia casalinga, la  sua mediocrità intellettuale si scorgono  soprattutto in questa considerazione  che egli non è un musicista vero e  proprio ma soltanto un operista". Puccini, come era già accaduto, in parte,  a Verdi, viene considerato dall`alto in  basso da tutta una corrente di intellettuali un po' snob dell'epoca. In quanto troppo sentimentale, in  quanto troppo popolare.  Bisogna dire, per guardare la realtà  fino in fondo, che questo sospetto di  essere un po' “lacrimoso”, Puccini  se l'è trascinato appresso fino al dopoguerra. Infatti era lui stesso e chiedere ai suoi librettisti d`includere almeno una scena commovente, che facesse  piangere. Puccini riteneva che la commozione fosse uno degli scopi dell'opera d'arte. Naturalmente bisogna vedere  di quale tipo, di che qualità di commozione si sta parlando.  Lui di quale commozione parlava?  «Della sua, su questo non ci sono dubbi  e lo si potrebbe sostenere contro chiunque,  partiture alla mano. Dicendo “sua” si intende capovolgere il giudizio ingeneroso dato su Puccini all`inizio del secolo. Puccini è stato un compositore estremamente originale che ha  assimilato moltissimo dagli altri e che  però è riuscito a rendere “pucciniano”  tutto ciò che ha assimilato. Com'era  accaduto a Mozart né più né meno. Per prima cosa le sue  armonie arrivano a comprendere tutte  e sette le note della scalda diatonica.  Quegli accordi di tredicesima che vengono considerati tipici di Ravel, si  trovano invece già in Puccini e inoltre  si può dire che Ravel imparò molto da  Puccini sul piano dell`orchestrazione.  Sappiamo, per esempio, che Ravel tenne per molto tempo in evidenza sul suo  pianoforte la partitura della pucciniana “Fancìulla del West” che considerò  uno dei suoi modelli. Si può aggiungere che Puccini emancipa la dissonanza e usa per esempio le settime parallele che al tempo erano proibite. Usa liberamente anche le successioni di Quinte vuote e lo  fa con tale abbondanza che in Germania vengono ribattezzate Puccini-Quinten. Ogni procedimento d`avanguardia viene sperimentato con tale  felicità con tale efficacia che l`esito  espressivo fa dimenticare l’arditezza  della tecnica impiegata. Un uso tipico delle Quinte vuote è  in quella scena di Bohème che vuole rendere musicalmente il senso  d’una grigia giornata nella periferia  parigina. Le Quinte vuote servono magnificamente allo scopo e restituiscono  appunto un senso di freddo, di “non  pieno”, di gelo. Puccini capovolge in sostanza la massima del vecchio Haydn  secondo la quale “ogni melodia deve  contenere in sé la sua armonia". Che  cosa voleva dire Haydn? Che una melodia in maggiore dev`essere confermata, armonicamente, da accordi in maggiore e viceversa per una melodia in  minore. Prendiamo la solita scala di  Do per comodità. Sul secondo grado,  Re, io posso armonizzare con l`accordo Re-Fa-Lache però è minore (Re-Fa infatti è un intervallo di terza  minore). Per non far sentir all`orecchio  questo tono minore e insomma per non  indebolire il tono maggiore della melodia devo allora scegliere un altro accordo. Che cosa sceglierò? .  Sol-Si-Re, che è un accordo maggiore.  «infatti è maggiore ma il Re non è  più il primo tono, la base, dell`accordo.  E il quinto grado diSol cioè la nota  che nella scala di Do (Do-Re-Mi-Fa-Sol) funziona da “dominante”. In definitiva, e prescindendo da queste considerazioni tecniche, su  ogni nota di una melodia in maggiore  si possono costruire accordi maggiori  o minori. Gli accordi maggiori rafforzano la melodia perché la confermano  nel suo Modo. Gli accordi minori la  indeboliscono, la rendono più ambigua  o quanto meno più fragile. Ora secondo Haydn, e secondo il Settecento,  melodia maggiore uguale accordi maggiori. Melodia in minore uguale accordi in minore. Puccini invece fa esattamente il contrario. Predilige le armonie deboli. Anche Ravel del  resto fa lo stesso e questo procedimento attraversa l'intero Ottocento perché  l’uso delle armonie forti si era un po'  logorato col tempo. Puccini però lo fa  su scala più larga degli altri. E questo significa anche che la musica di Puccini è modalmente un po' ambigua, cioè non è ben chiaro, sempre, se si stia  in modo maggiore o minore. Si,  modalmente ambigua, molto differenziata, plurivalente. E questa polivalenza  modale diventerà poi una delle caratteristiche della musica moderna.  E ciò ha molto a che fare con  il tipo di storie, di personaggi prediletti  da Puccini e uno dei segreti di questo artista è  esattamente li,nella  scelta dei personaggi in cui si predilige  l`elemento femminile, le figure di donne deboli, fragili, sofferenti. Armonie  deboli per donne deboli. Mosco Carner, uno  dei biografi di Puccini, ha scritto  “Mentre il basso fondamentale delle  opere di Verdi è un grido di battaglia,  quello di Puccini è un invito all`amplesso”.E queste  scelte armoniche, Puccini le fece subito sue.Quegli accordi di tredicesima, quelle armonie ambigue, deboli, complesse, cromatiche, in definitiva post-wagneriane, si  trovano già nelle sue prime opere. ln Bohème ( del '96) ci sono passi  come quello corrispondente alle parole  “Quando sento lezzo di frittelle" dalla  festadi Natale a Montmartre di tale  modernità che potrebbero essere trasportati di peso in un lavoro come Les  Noces di Stravinskij. E Puccini  ne era pienamente consapevole. Tanto  più che i due, Puccini e Stravinskij,  erano amici e Puccini anzi fu il solo ad  entrare nella stanza dell`altro quando  Stravinskij era a letto ammalato di tifo  e Debussy e Ravel rimanevano fuori  della porta. Basterebbe questo a dimostrare quanto Puccini fosse  dentro lo spirito della musica del Novecento. Ciò non esclude che come  gusto rimanesse italiano al cento per cento.

La vita e le opere.     

Nato a Lucca il 22 dicembre 1858 da una famiglia di musicisti(da molte generazioni i Puccini erano Maestri di cappella del Duomo di Lucca), Giacomo Puccini è stato, dopo Verdi, il compositore più importante dell'opera italiana. Ha scritto in stile verista e in  contrapposizione al movimento del Realismo in letteratura, ha teso a favorire nell’opera lirica i soggetti e i personaggi della vita di tutti i giorni. Sulle sue storie spesso banali, Puccini profuse melodie memorabili e orchestrazione lussureggianti, raggiungendo  l’apice artisticocon le sue tre opere più popolari e più efficaci, La Bohème, Tosca e Madama Butterfly.

Da adolescente, Giacomo prende lezioni di organo da suo zio, Fortunato Magi, e in seguito da Carlo Angeloni. A dieci anni, canta nei cori della chiesa locale e a 14 anni suona come organista nelle cerimonie religiose. Le sue prime composizioni sono per organo, spesso incorporando elementi operistici e folk. A 18 anni, rimane incantato dall’Aida di Verdi e decide che da quel momento avrebbe studiato composizione con l’intento di scrivere anch’egli opere liriche. Nel 1880, Puccini entra al Conservatorio di Milano, dove studia per tre anni con Ponchielli e Bazzini. Nel frattempo scrive la sua prima opera, “La Villi” che viene accolta con entusiasmo.

La successiva, “Edgar” non ebbe fortuna. La terza opera, “Manon Lescaut, è subito un successo clamoroso già alla sua prima rappresentazione nel 1893 a Torino. Le ripetute rappresentazioni dell’opera diedero grande fama e reputazione  al compositore sia in Italia che all’estero. Le tre successive opere: “La Bohème” (1896), “Tosca” con la celebre  E lucevan le stelle (1900), e “Madama Butterfly” (1904)  non ebbero un successo immediato come Manon Lescaut, ma nel tempo ottennero il giusto riconoscimento. Verso la metà del XX secolo diventarono, e rimangono tutt’oggi, le sue opere più spesso suonate e registrate.L'opera successiva, "La Fanciulla del West", viene scritta per il Metropolitan di New York, dove è rappresentata nel 1910 per la prima volta con Toscanini direttore e Caruso che canta il ruolo di Johnson. Seguono "La rondine" del 1917, il "Trittico"composto da “Il tabarro”, “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi” con la celeberrima “O mio babbino caro” del 1918 ed infine "Turandot", di cui fa parte la celebre “Nessun dorma”, il cui ultimo atto sarà completato da Franco Alfano dopo la morte di Giacomo Puccini, avvenuta a Bruxelles il 29 novembre 1924.

Le donne di Puccini

“L’operazione è perfettamente riuscita. Purtroppo il malato  è morto”. In questa  celebre formula, frequente nei bollettini medici, il dottor  Ledoux, dell’istituto dela Couronne di  Bruxelles, avrebbe potuto sintetizzare  la sorte di Puccini. Malgrado il diabete, gli aveva praticato un taglio di dieci  centimetri nella gola, in anestesia locale, applicando sette aghi di radio intorno al tumore, con un'operazione durata due ore e mezzo. Puccini, tormentato dagli aghi, ovviamente morì qualche  giorno dopo, di collasso cardiaco e  morì nelle braccia della figliastra,  Fosca.  Ma dove si trovavano le altre donne  della vita di Puccini? Quelle importanti  non erano molte.  La moglie, Elvira, era rimasta a  Viareggio perché aveva la bronchite;  nella carnera di Puccini c'era un morbido cuscino, regalatogli da Sybil Seligman, una grande e fedele amica di  Giacomo, che era passata a trovarlo,  e su quel cuscino fu posta la maschera  mortuaria del maestro, nella casa-museo di Torre del Lago; nei giorni precedenti la morte di Puccini, una bella  sconosciuta (se si deve credere alla  testimonianza di un librettista pucciniano, Adami), portava quotidianamente mazzi di violette destinate all’illustre malato.  ln questa istantanea, diciamo cosi,  di famiglia c'è tutto. Elvira era una  personalità incombente, imperiosa; il  giovane Puccini, ignaro del sesso, ne  era stato soggiogato e indotto, nel  1886, ad affrontare le conseguenze di  uno scandalo di provincia, portando via  la moglie ad un amico, Gemignani. ln  seguito, questo rapporto di sudditanza  si era incancrenito, perché ad ogni  tentativo di liberarsene, Giacomo veniva frustrato dalla sempre più torva  Elvira, che non aveva esitato a minacciare di portarsi via la villa di Torre del Lago  (quanto di più caro avesse Puccini) in caso  di separazione.Sybil Seligman si era innamorata di Puccini, dopo averlo conosciuto a Londra nel 1904  tramite Francesco Paolo Tosti, l'autore di  Ideale. Sybil sembra  che avesse affrontato l’argomento col marito  David, direttore di una grande banca londinese. Ma questo amore non ebbe seguito, e  Sybil si limitò a trasformarlo in una lunga  amicizia, aiutata dalla flemma del marito e riuscendo, grazie al livello sociale e culturale,  ad imporsi ad Elvira. Con molta probabilità,  questa fu la grande occasione mancata di  Puccini che, per restare attaccato a Torre del  Lago e all'Italia, rinunciò non soltanto a  Sybil, ma anche ai vantaggi che una vita  all'estero gli avrebbe recato sul piano artistico, togliendolo all'ambiente provinciale del  Novecento italiano, dove finì per essere  misconosciuto e disprezzato dai “musicanti”  dell’avanguardia. La bella sconosciuta delle violette forse era  la baronessa Josephine von Stangel, la donna  con la quale, tra il 1911 e il 1915, Puccini  ebbe una di quelle tardive relazioni che, quanto a pienezza e a significato, si  verificano una sola volta nella vita, e quasi  mai da giovani. Di questo amore, ambientato  nelle pinete di Viareggio e perseguitato dalle  imboscate di Elvira, resta qualche lettera  nell'incerto italiano di Josephine,  che aveva lasciato marito e figli per Puccini.  Ma il suo ”Giacomucci”, ancora una volta,  non aveva saputo sottrarsi ad Elvira. Non si  sa che fine abbia fatto Josephine.  Alla foto di famiglia mancano Corinna e  Doria Manfredi. Corinna era una signora  piemontese il cui cognome è rimasto ignoto. Puccini fu obbligato a interrompere  questa relazione, nel 1903, per una congiura  ispirata da Elvira, ma condotta dall'editore  Giulio Ricordi, interessato a che il musicista finisse Madame Butterfly: approfittando  dell’immobilità di Puccini, in seguito ad un  grave incidente automobilistico, si ottenne  che liquidasse in malo modo Corinna e che  sposasse Elvira, rimasta vedova da poco.  Quanto a Doria Manfredi e al suo drammatico suicidio, si conosce tutto, vale a dire  che era a servizio incasa Puccini, che venne  sospettata di avere una tresca col padrone di  casa e che, perseguitata da Elvira, il 23  gennaio 1909 ingerì tre pasticche di sublimato e mise cinque giorni a morire, fra atroci  dolori e protestando la sua innocenza. Seguì  un processo intentato dalla famiglia Manfredi assistita dal celebre avvocato socialista  Modigliani (fratello del pittore) e conclusa  con una transazione finanziaria pagata da  Puccini, dopo che quest'ultimo aveva tentato  invano di separarsi legalmente da Elvira. Ma  non si conosce il  nocciolo della vicenda: e cioè  che Puccini e Doria Manfredi non avevano  alcuna tresca, ma che qualcuno lo aveva fatto  credere ad Elvira, contando sulla gelosia di  Elvira per liberarsi di Doria.  Cosa aveva fatto Doria? E a chi? E un  piccolo, ma atroce mistero, di cui qualcuno  conosce ma tace il segreto. Ci si contenta di  dire che Puccini sublimò la povera Doria nel  personaggio di Liù, la vittima di Turandot.

 

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