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(Enzo Toscano ) E’ una della situazioni più difficili e paradossali degli ultimi anni. Sto parlando di questa benedetta (o maledetta, a secondo …) linea ferroviaria della Val Susa, chiamata TAV (Alta velocità), che dovrebbe (mai condizionale è più appropriato) collegare Torino con Lione in Francia. Ormai la cronaca pochissimo si sta occupando delle varie tematiche tecniche, bensì dei quotidiani bollettini di guerriglia e controguerriglia, talvolta più ingranditi che reali. Le modalità con cui la vicenda si sta delineando, da ormai oltre un decennio, è storia contemporanea ed inutili sono stati i numerosi tentativi di trovare una sintesi condivisa tra i territori che si oppongono con molti sindaci in testa, ed i vari governi. I No-Tav contestano i lavori di cantiere, a loro dire da sopportare per molti anni con massiccio inquinamento acustico in queste silenziose ed incontaminate zone alpine, con polveri e disturbi per gli abitanti della valle. Le montagne valsusine, che in base ai progetti dovrebbero essere attraversate da gallerie nell'ordine delle decine di chilometri, avrebbero (sempre a giudizio dei no-Tav) al loro interno ingenti quantità di pericoloso amianto e random, e non per ultimo con il reale pericolo di infiltrazioni malavitose nei lavori, società in odor di mafia attratte dai tanti soldi stanziati per questa opera. Ma c’è il governo che vuole e deve rispettare degli accordi presi e quindi andare avanti; ciò assodato è piuttosto evidente che il tutto ha portato null'altro che ad esacerbare gli animi. E così che vediamo ormai quotidianamente cortei di manifestanti arrampicarsi tra le stradine di montagna, blocchi stradali, assedi ai cantieri, treni fermati, pendolari appiedati, proteste da una parte e dall’altro, violenze piccole e grandi, manifestazioni di saggi vecchietti e madri di famiglia, no-global, bambini con genitori, anarco-insurrezionalisti, parroci e parrocchiani di montagna, centri sociali, lacrimogeni e palloncini colorati, centinaia di poliziotti e carabinieri costretti a correre continuamente di qua e di la per chiudere i varchi, in un vasto ed impervio territorio montano. Tutti i personaggi in questione, integralmente ed italianamente interscambiabili, scrupolosamente inseriti nell’universale papocchio del “Tutti contro Tutti”, sono gli involontari attori di questa commedia melodrammatica, poi serviti su di un piatto d’argento ad una stampa che ovviamente, più che esaminare le reali problematiche, si schiera il più delle volte solo in base alle simpatie o convenienze del proprio protettore o padrone politico. Quest’aspetto, tra le altre cose, sta seriamente rischiando in questo periodo economicamente nefasto per tantissime persone, di far esplodere la polveriera che cova sotto il paese, e gli episodi drammatici che sta assumendo la protesta potrebbero essere solo un'anticipazione. Ma torniamo alla ferrovia franco-piemontese, che tanto mi ricorda l’Epopea del West. Siamo negli anni intorno al 1860, nel vecchio West della futura grande nazione Americana. Allora si realizzava quella che fu definita “la più grande opera del momento”, la Ferrovia Transcontinentale. Attraverso questa il lontano West sarebbe stato vinto definitivamente, e la civiltà dei bianchi avrebbe rapidamente soppiantato la cultura degli indiani. Per costruire la ferrovia transcontinentale, che avrebbe unito est ed ovest degli Stati Uniti, scesero in campo due colossi dell’epoca nel settore della costruzione di ferrovie, la Union Pacific e la Central Pacific. La prima iniziò la realizzazione della sua parte partendo da est, mentre la seconda partì da ovest. Dopo una gara contro il tempo entusiasmante e massacrante, alla fine si riunirono, nonostante su sponde contrapposte si affrontarono i profeti del progresso ed i conservatori della tradizione; divisi ed uniti su quel percorso uniformemente regolare, che si snodava su binari e rotaie, tra valli, montagne e fiumi. Un tracciato percorso da una locomotiva sbuffante che, non di rado, andava ad alterare l’immagine di paesaggi in gran parte incontaminati. E qui ricordiamo le memorabili scene degli indiani locali, i Comanche, i Cheyenne, i Sioux, che stanchi di essere sopraffatti dal progresso dei bianchi, dai loro soprusi, della perdita di libertà e soprattutto della decimazione dei Bisonti, animali indispensabili alla loro sopravvivenza, iniziarono ad attaccare la linea ferroviaria, i cantieri d’opera, gli operai. Indimenticabili (almeno dal punto di vista cinematografico), le scene dell’arrivo al gran galoppo del 7° Cavalleria (il Reparto Celere di allora), con le giacche blu che roteavano il manganello (pardon la sciabola), contro gli indiani in fuga; o la bellissima ultima immagine sui titoli di coda di “C’era una volta il West”, dove Charles Bronson si allontana a cavallo sullo sfondo della ferrovia in costruzione. All’epoca per mettere in sicurezza le cosidette “retrovie”, fu ingaggiata dalle ferrovie la celebre Agenzia Pinkerton, una specie antesignana dei nostri servizi segreti. Fortuna per loro che all’epoca dovettero proteggere la linea ferrata solo da banditi straccioni e qualche indiano ubriaco. Noi invece dobbiamo fronteggiare il pericolo dei no-global, black bloc, brigate rosse, ordine nero, servizi deviati, iraniani, iracheni, Cia, Mossad, ex Kgb, mafia, camorra, ndrangheta, emissari segreti del Vaticano, tutti segretamente coalizzati nella Val di Susa, secondo le ultime notizie del solito dietrologo “intelligentone” di turno. Cui Prodest ? (A chi giova?): io credo giovi solo e sempre ai soliti noti. Alla fine ti accorgi che molte volte la Storia, ironicamente e crudelmente, si ripropone allo stesso modo pur attraversando la barriera dei secoli; ma se tanto mi da tanto, io allora lancio una folgorante idea per cercare di risolvere definitivamente e pacificamente il problema della TAV. Il Governo porta a termine l’opera, in cambio nelle spendide valli saranno messi al libero pascolo migliaia di splendidi Bisonti.

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