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di

Antonia Luiso

Tanto più un popolo può dirsi libero quanto più è disposto a investire, e credere, nell'istruzione. E a combattere per essa, di rimando.
Quale potere, del resto, sarebbe disposto a promuovere un'arma di tale portata, col rischio di venire sovvertito dai propri stessi fino ad allora conniventi sottoposti?
Ha sedici anni, dal Pakistan, è una donna e si alza ogni mattina sapendo di dover correre più in fretta di ignoranze e pregiudizi, parafrasando saggezze molto in voga ultimamente.
È Malala Yousafzai e non ha vinto il Nobel per la pace.
La consapevolezza e il disumano coraggio che muovono ciò in cui crede sono stati insigniti, però, del riconoscimento che celebra la dignità umana più e meglio, a mio avviso, di qualsiasi Nobel mai assegnato: il premio Sakharov, per la Libertà di pensiero.
Tanto per ricordare al mondo l'incorruttibilità delle idee che l'hanno sempre sospinta e che non si sono mai piegate alla paura.
Sedici anni di Forza e Onore, insomma.
Hanno cercato di assassinarla, senza riuscirci.
Il motivo addotto: il suo perseverare nel volere istruirsi, nonostante la cosa non rientrasse nelle grazie di chi ha pensato bene che donne e bambini non dovessero avere accesso all'educazione.
Ora, il lettore ha il dovere, in primis verso se stesso, di mettere in pratica una sana e scettica “sospensione dal giudizio”. Farsi guidare dal preconcetto è una mostruosa colpa.
Malala tiene a ribadirlo da sempre, non fu l'Islam a cercare di zittirla ma l'uomo.
I precetti musulmani non contemplano e mai contemplarono la segregazione femminile così come si tende a esasperare. Del resto, nessuna religione che sia ha mai posto la donna a parità di condizioni con l'uomo.
Obbligare le donne ad abiurare la propria femminilità o, più drasticamente, il loro esser donne è manifestazione di indegnità non di fede.
In altre parole, religione islamica non è fanatismo né crudeltà.
Chiunque trovi “usuale od ordinario” cercare di uccidere una ragazza che combatte, opponendosi senza remore, per permettere a chi è vittima di simili soprusi, oltre che a se stessa, di ricevere una cultura non è musulmano, è un reietto che neppure merita gli si dica “uomo”.
Malala è la manifestazione tangibile che il coraggio può pagare poco o magari male ma chiude in sé l'opportunità che consente alla storia di portare anche il tuo nome, la stessa che fa sì che la storia, alla fine, cambi.
Il buono che la società ha compiuto per se stessa è posto, solo mediante l'istruzione, a disposizione dei suoi membri futuri, ed è questo che Malala chiede al mondo e a quel Potere che spesso, dell'istruzione, ha paura.
La Libertà è un'istanza prima di tutto mentale, non può attecchire in un terreno infertile. La cultura è fertilizzante, da sempre.
Che questa giovane donna, crisalide del buon futuro che ancora, seppur raramente, ogni tanto piove sul mondo, possa continuare a combattere senza tregue fino all'ultimo giorno di sé.
Come dovremmo fare noi tutti, del resto, ma eroi si diventa e, purtroppo, la maggioranza si accontenta di sedere sugli allori di un omertoso anonimato per tutta la vita.
La vita acquista senso combattendo per essa.

“L'istruzione non sparge semi dentro di noi, permette ai nostri semi di germogliare.”
E se lo ha detto Gibran, possiamo crederci.