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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE – 3

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: VINCENTI ENZO

Ha pronunciato la seguente:
Ordinanza n. 14038 dep. il 6 giugno 2017

Ritenuto che,
con ricorso affidato a due motivi, A.A. ha impugnato la sentenza del Tribunale di Napoli( del 3 aprile 2015, che accoglieva solo in parte l'appello dal medesimo proposto avverso la decisione del Giudice di pace della medesima Città, rigettando — per quanto ancora rileva in questa sede — il gravame sulla disposta liquidazione dei diritti di avvocato; che resiste con controricorso la HDI Assicurazioni S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva l'intimato C.G.; che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la controricorrente ha depositato memoria; che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato, preliminarmente, che è da disattendere l'eccezione di improcedibilità del ricorso avanzata da parte controricorrente, poiché detto atto è stato depositato il 30 marzo 2016, là dove l'ultima notifica dello stesso è avvenuta, nei confronti di C.G., in data 14 marzo 2016, come da avviso di ricevimento in atti (dovendo farsi riferimento alla data di ricevimento della notificazione stessa da parte del destinatario: Cass. n. 9861/2014);
che, con il primo mezzo, è dedotta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 342 cod. proc. civ., per aver il Tribunale ritenuto generiche le doglianze mosse dall'appellante alla liquidazione delle spese in misura inferiore ai minimi tariffari senza indicare le specifiche voci non riconosciute, là dove, per un verso, la doglianza si riferiva alla liquidazione dei diritti avvenuta in modo globale e senza tenere conto della nota spese, che veniva allegata all'atto di appello, e, per altro verso, era "estraneo alla dedotta fattispecie" il riferimento all'art. 60 del r.d.l. n. 1578/1933, concernente gli onorari e non i diritti di avvocato;
che, con il secondo mezzo, è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della legge n. 248 del 2006 (di conversione del di. n. 223 del 2006) e del d.m. n. 127 del 2004, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto non applicabile, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il citato d.m., sulle tariffe professionali, in ragione della abolizione dell'obbligatorietà delle tariffe medesime ad opera della legge di conversione dell'anzidetto d.l. n. 223; che è logicamente prioritario l'esame del secondo motivo, il quale è manifestamente fondato;
che, a norma dell'art. 2, commi 1 e 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, l'abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma l'esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia quando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza (Cass.n. 7293/2011) e ciò sino all'intervenuta abrogazione della tariffa medesima, disposta, con riferimento alle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, dall'art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 (Cass. n. 11232/2013) e con effetti dall'entrata in vigore del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 (che ha dato attuazione al citato art. 9); che, pertanto, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, devono applicarsi ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata (Cass., S.U., n. n. 17405/2012);
che, quindi, ha errato il Tribunale ad escludere l'applicabilità delle tariffe professionali di avvocato, di cui al d.m. n. 127 del 2004, in riferimento a prestazione conclusasi prima dell'entrata in vigore del d.m. n. 120 del 2012 (essendo la sentenza del Giudice di pace del gennaio! febbraio 2012);

che è manifestamente fondato anche il primo motivo;
che va premesso, anzitutto, che (contrariamente a quanto dedotto dalla parte controricorrente e dalla stessa ribadito con la memoria successivamente depositata) risulta idoneamente e specificamente censurata la ratio decidendi concernente la ritenuta applicazione, da parte del giudice di appello, dell'art. 60 del r.d.l. n. 1578 del 1933; ratio che si palesa erronea, in quanto la doglianza mossa con il gravame riguardava la liquidazione dei diritti di avvocato, mentre detta norma si riferisce agli onorari, consentendo soltanto in riferimento a quest’ultimi una liquidazione al di sotto i minimi ove la causa sia di "facile trattazione" (tra le altre, Cass. n. 3961/2016);
che, tanto premesso, va rammentato che, in tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942 (Cass. n. 21791/2015); che, pertanto, quando la sentenza di primo grado sia censurata con riguardo alle spese di giudizio, sotto il profilo della violazione dei minimi della tariffa professionale, l'onere dell'appellante di fornire al giudice d'appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando specificamente importi e singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado, può essere assolto anche con nota allegata all'atto di appello, e in questo richiamata (Cass. n. 21791/2015 e Cass. n. 2339/2017);

che ha, quindi, errato il Tribunale, in presenza di nota spese allegata all'atto di appello e a fronte di censura riguardante la liquidazione dei diritti di avvocato operata in modo globale da parte del primo giudice, a ritenere generica la doglianza;

che il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al Tribunale di Napoli, in persona di diverso magistrato, che, nell'esaminare l'appello dell'A.A. sulla liquidazione dei diritti di avvocato effettuata dal primo giudice si atterrà ai principi sopra enunciati;
che il giudice del rinvio dovrà provvedere anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 20 aprile 2017