Storia
Carattere

Nel darvi il benvenuto in questa nuova rubrica di ‘Primapaginaitaliana’, ritengo sia opportuno chiarire quale sarà il suo ‘habitus’, il suo luogo di residenza intellettuale. Una rubrica impegnativa ed una grande responsabilità di cui ringrazio il direttore. Impegnativo fin dal titolo che, temo, mi si appiccicherà addosso come un francobollo da collezione. Appare evidente che questo spicchio di informazione, sarà decisamente caratterizzato e rivolto a tutti coloro che vogliono approfondire tematiche storiche, sociali e culturali, proprie della nostra terra. Avrete di certo notato come, in quest’era segnata dal ‘rigor montis’, unito allo ‘sfastirio’ generale, stiano emergendo e in maniera prepotente, movimenti il cui richiamo all’identità meridionale, è particolarmente forte. Attenzione! Non mi riferisco a vari partiti ufficiali d’ispirazione meridionalista che, a mio opinabile avviso (ma neanche tanto), hanno esaurito la riserva di monetine per il giro sulla giostra, ma a qualcosa di molto più serio, profondo e persino radicale. Ma ripartiamo dal titolo. Perché “Il Sanfedista” e quanti di voi sanno chi erano i Sanfedisti? Non vi preoccupate; non è colpa vostra se non lo ‘ricordate’. Pochi possono sapere chi erano i Sanfedisti e cosa li abbia generati perché, di loro, la storiografia ufficiale, quella che fanno studiare a scuola per capirci, parla poco e male. Certo, primapaginaitaliana, ha voluto siglare così la rubrica, per darle un ‘marchio’ ben preciso senza voler accostare chi scrive, all’atteggiamento estremo e radicale che questo movimento assunse, nella seconda metà del ‘700. I Sanfedisti, emersero, in buona sintesi, dalla necessità di tutelare le proprie radici storiche e culturali, che traevano linfa dalla condizione di sudditi del Regno di Napoli. Da sempre guardato con invidia e preoccupazione, grazie al buon governo della dinastia dei Borbone, la crescita economica del Regno, favoriva uno sviluppo sociale che ancorava sempre più i sudditi, alla famiglia dei Reali. Il popolo lavorava e mangiava. Le poche tasse, cinque in tutto, imposte dal Re, ricadevano in termini di servizi e di sviluppo sul tessuto sociale. La pubblica illuminazione, prima in Europa; la raccolta differenziata; l’acqua come bene pubblico e portata in tutte le case del Regno; cantieri navali che occupavano migliaia di persone; le fonderie di Mongiana in Calabria, uniche in Europa per capacità di produzione; aziende agricole; la seteria di San Leucio; la fattoria borbonica di Carditello che vide la nascita della razza equina del ‘Napoletano’ dal quale si originò il ‘Persano’, l’istituzione degli ordini professionali, scuole libere e gratuite, università, convitti e tanto altro imprimevano, nei sudditi del regno, vigore, capacità di iniziativa e un forte senso dell’appartenenza; l’orgoglio dei sudditi era forte e faceva di loro un popolo capace e votato alla crescita personale e sociale. Ma la cosa che distingueva il popolo napoletano, era il forte senso religioso. Il Regno era cattolico, tollerante verso le altre religioni e forte nella propria Fede. I Borbone, ponevano al centro della loro filosofia di governo, l’essere umano, quindi il benessere del popolo, proprio grazie al forte rispetto di quei principi religiosi sovrapposti alle necessità di governo. Fu questo aspetto che consacrò il legame tra i regnanti ed il loro popolo. Ed ecco perché, in risposta alla ‘Repubblica Napoletana’ istaurata con l’aiuto dei francesi che soffocò nel sangue la reazione del popolo, in buona parte del Regno, quando il Cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo, chiamò a raccolta, masse insorgenti si unirono sotto il nome di “Esercito della Fede in Nostro Signore Gesù Cristo.” L’esercito della Santa Fede, in pochissimo tempo, sbaragliò i repubblichini, mise in fuga i francesi e ricollocò il proprio Re sul suo legittimo trono. Per capire come la pensassero i difensori della Fede e del Regno, basta ripercorrere alcuni passi del giuramento cui dovevano sottoporsi, nell’aderire all’esercito sanfedista: “In presenza di Dio onnipotente Padre, Figliuolo e Spirito Santo, di Maria sempre vergine immacolata, di tutta la Corte celeste, io giuro di farmi tagliare la gola, di morire di fame, e fra i più atroci tormenti, e prego il Signore Iddio onnipotente che mi condanni alle pene dell'Inferno piuttosto che tradire o ingannare uno degli onorandi padri e fratelli della Cattolica Apostolica Società, alla quale in questo momento mi iscrivo; o se io non adempissi scrupolosamente le sue leggi o non dessi assistenza ai miei fratelli bisognosi…” Il tessuto con il quale, cercherò di tessere la trama dei nostri incontri e delle nostre ‘chiacchierate’, sarà squisitamente meridionalista e territoriale. Chiedo scusa fin da ora se, in qualche circostanza io o qualcuno dei miei ospiti, si manifesterà in maniera radicale. Parleremo ancora della nostra storia e della nostra cultura dimenticata. Analizzeremo i libri e le tante pubblicazioni che affrontano le questioni di ‘casa nostra’ da un punto di vista storico, sociale ed economico.  Passo dunque la parola al direttore, che illustrerà le modalità di pubblicazione della rubrica e dei nostri appuntamenti.

A presto! Nando Cimino