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       CAPUA (Raffaele Raimondo) – Si continua in questi giorni a respirare la magica atmosfera natalizia. Al teatro Ricciardi giovedì 12 gennaio più profondamente: tornerà infatti Peppe Barra con la sua intramontabile Cantata dei Pastori, nel libero adattamento dell’opera che Andrea Perucci scrisse nel 1698. Sipario alle ore 21. Ancora pochi biglietti disponibili per la galleria. Dunque sarà sold out, giacché un attore-cantante-regista del calibro di Barra è garanzia certa di successo assicurato, sempre. Se, nel contempo, il testo dello spettacolo, oltre ch’essere d’autore, è stato, per tre secoli, cercato, rimaneggiato, riscritto, ravvivato, allora si raggiunge il culmine. In tal caso il pubblico “corre a teatro” e la propaganda è financo superflua.

       Le musiche di Roberto De Simone (il geniale ricercatore-regista che, alla fine degli anni Settanta, volle la madre di Barra, Concetta, nelle candide vesti dell’Angelo), con interessanti innesti di Lino Cannavacciuolo, Paolo Del Vecchio e Luca Urciuolo. Scene: Tonino Di Ronza; costumi di Annalisa Giacci e coreografie di Erminia Sticchi.

       Il primo approccio di Peppe alla Cantata s’ebbe nella parte di un già eccezionale Sarchiapone (ora nell’interpretazione di Teresa Del Vecchio) e che si è affinato di anno in anno sempre più, anche in parallelo con la regìa curata dallo stesso Peppe che vedremo al Ricciardi nell’ormai consolidato ruolo di Razzullo. “Il personaggio di Sarchiapone non esisteva infatti nella versione originale di Perrucci, fu introdotto per rendere meno paludata la rappresentazione, per adattarla al gusto del pubblico e via, via, si è andato ritagliando un ruolo sempre più importante”.

       E veniamo un attimo all’argomento della narrazione: “La Cantata dei Pastori è la storia delle traversìe di Giuseppe e Maria per giungere al censimento di Betlemme. Nel difficile viaggio vengono accompagnati da due figure popolari napoletane, Razzullo, scrivano napoletano assoldato per il censimento, e Sarchiapone, ‘barbiere pazzo e omicida’, maschera ispirata quasi direttamente dalla tradizione popolare dei Pulcinella e antesignano di Felice Sciosciammocca”.

       V’è inoltre da aggiungere che “il presepe popolare napoletano è direttamente influenzato   

       dalla Cantata dei pastori che mescola il suo narrare con quello dei vangeli apocrifi e con altre   

       tradizioni popolari del sud, a metà strada tra il cristiano, il pagano, il magico …Molti sono gli ostacoli che Giuseppe e Maria dovranno superare prima di trovare rifugio nella grotta della Natività. Ed è naturalmente conseguente il lieto fine, la salvazione dell’umanità dal peccato e il ritorno di Belfagor, sconfitto, nel suo mondo infero di fiamme e zolfo. Fino all’anno prossimo, quando anche lui, vecchio diavolaccio impunito, potrà tornare a raccontarci la storia infinita della lotta millenaria tra bene e male. Insomma, un grande archetipo”.

       Resta fermo che l’archetipo non promette alcun Eden su questo Pianeta, bensì l’incessante sfida fra il Male e il Bene in cui, oltretutto, si consuma la vita di ciascuno di noi. Ma almeno ridiamo o sorridiamo un po’. In fondo ogni giorno può essere Natale. Basta volerlo.

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