Primalex news
Carattere

 

La nuova disciplina dei compensi professionali, come disegnata dall’articolo 9 del decreto legge 1/2012, è
viziata da manifesta irragionevolezza con violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
Il dubbio di incostituzionalità peraltro non riguarderebbe l’abolizione delle tariffe, quanto le altre
disposizioni che introducono i parametri per la liquidazione giudiziale delle spese e il sistema di
determinazione del compenso professionale.
Ne è convinto Cesare Pinelli, professore di diritto pubblico a La Sapienza di Roma, che al tema “Dubbi di
costituzionalità della disciplina sul’abolizione delle tariffe professionali” ha dedicato la sua relazione.
Pinelli ha chiarito in premessa due passaggi importanti nel dibattito intorno alle tariffe/parametri: da una
parte che il legislatore italiano non è tenuto a mantenere per Costituzione il sistema tariffario; dall’altra che
la Unione europea non impone l’abolizione dello stesso, come dimostrano le numerose sentenze della Corte
di giustizia delle Comunità europee. Sgombrato dunque il campo da un equivoco sempre attuale, Pinelli ha
individuato in due gli obiettivi che il governo si sarebbe posto nella disciplina dei sistemi residui di
determinazione del compenso: la riduzione delle asimmetrie informative e l’incentivazione della concorrenza
se raggiunta tramite accordo delle parti; il contenimento della discrezionalità del giudice se raggiunta in via
giudiziale.
Rilevando in realtà una eterogenesi dei fini che provocherebbe la irragionevolezza della disciplina attuale e
la violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di difesa. “Infatti, ove i parametri ministeriali
configurassero altrettanti criteri risolutivi della determinazione della misura del compenso verrebbe frustrato
il fine della incentivazione della concorrenza; ove invece, più plausibilmente, risultassero residuali e non
vincolanti per il giudice, verrebbe meno l’obiettivo di contenerne la discrezionalità”, evidenzia Pinelli.
Secondo Pinelli, sono tre le principali incongruità interne alla normativa.
Innanzitutto la circostanza che non risultano “armonizzabili” tra di loro le norme che da una parte
impongono al professionista di rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico e di fornirgli le
informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento dell’incarico alla sua conclusione; e
dall’altro prevedono l’obbligo di un preventivo di massima “in ogni caso”. Se l’obbligo di preventivo
assorbe quello della indicazione degli oneri ipotizzabili anche nella ipotesi di accordo delle parti,
quest’ultima previsione perderebbe ogni funzione. Se l’obbligo del preventivo scattasse in caso di mancato
accordo non varrebbe l’indicazione che debba valere “in ogni caso”.
In secondo luogo, suggerisce Pinelli, c’è una discrasia insuperabile per la determinazione del compenso nel
preventivo e quella che scaturisce dal ricorso da parte del giudice ai parametri. Questi ultimi infatti sono
talmente analitici che sono destinati a “screditare rapidamente l’attendibilità di qualunque preventivo”, che
nella ipotesi di mancato accordo si ridurrebbe alla stesura di un formulario burocratico facilmente smentibile
dal giudice.
Infine, conclude Pinelli, non si può dire che la quantificazione operata nel preventivo, analitico, si rilevi più
credibile nell’ipotesi di accordo tra le parti, vista l’obbligo contestuale di fornire tutte le informazioni utili
circa gli oneri ipotizzabili con il risultato di provocare un vasto contenzioso sul punto, che toccherà al
giudice dirimere.

 

 

Segnalaci o inviaci una sentenza

Per segnalarci una sentenza,  scrivi un'email a comunicati@primapaginaitaliana.it

Iscriviti alla nostra newsletter giuridica per rimanere costantemente aggiornato sulle notizie più lette della settimana, che riceverai sulla tua mail. E' un servizio assolutamente gratuito.