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È stato or ora pubblicato per i tipi delle Edizioni Palladio, di Salerno, il volume di Giancarlo Bova,

Le pergamene angioine della Mater Ecclesia Capuana. V. L’età dei Templari, 1281-1282 (pp 624, con 32 tavole a colori fuori testo e 12 foto b/n), che fa parte della nota Collana Corpus Membranarum Capuanarum (CMC), diretta dall’Autore stesso.

     Dalla lettura del bel libro si evince che l’Italia non è solo nel Medioevo la storia delle repubbliche marittime, ma anche quella delle città dell’interno del Paese, rilevanti per i loro traffici e la vita sociale. Bova con “la sua ricchissima opera ha fatto conoscere alla comunità scientifica di tutto il mondo la storia di Capua e di Terra di Lavoro” (M. Balard, Sorbonne).

     L’Autore in apertura parla delle vicissitudini delle pergamene dell’Archivio Arcivescovile. Delle circa diecimila pergamene del 1870, oggi ne restano meno di settemilatrecento: perdita dovuta non solo a cause naturali e belliche!

     Lo studioso tratta poi delle transazioni economiche della Chiesa locale e pubblica per la prima volta una pergamena del xiii sec. da cui risulta che le chiese di S. Venera (Airola), di S. Salvatore Minore e dei Ss. Apostoli (Capua) furono annesse alla distribuzione dei beni della Chiesa di Capua.

     L’Autore riesce anche a quantificare la superficie della pecia terre capuana. Passa poi a trattare delle porte e borghi della città, delle strade, delle piazze, delle confraternite di artigiani e della scuola. Tratta inoltre degli ebrei e di un discendente della tribù di Manasse.

     Importante è la presenza di alcuni membri della famiglia Boccaccio a Capua, fuori Porta Roma, nonché della famiglia Tocco.

     Notevole è lo studio su Vitulazio, sulla sua chiesa di S. Maria dell’Anglena e sulle relative contraffazioni del canonico Pratilli.

     Bova tratta ancora delle chiese angioine di S. Erasmo e di S. Lorenzo nell’antica Capua, oggi S. Maria Capua Vetere, precisando che tale città, anche dopo la distruzione saracenica dell’841, continuò a essere abitata. Non è sostenibile invece la tesi di chi vuole che il nome Capua sia passato definitivamente alla nuova città sul Volturno, scomparendo come identificativo topografico dalla città più antica. Questa non prese il nome di Berelais (“hoc est amphiteatrum”), ma si chiamò Capua Vetus, come risulta da molti documenti dal x al xv secolo e oltre. Fu centro di intensa attività economica, grazie alle fiere, e di vita religiosa per la presenza di tre basiliche: costantiniana, S. Pietro ad Corpus e S. Maria Suricorum (dei Siriaci). In quest’ultima veniva concessa ogni anno l’indulgenza plenaria (Perdonanza di S. Maria del 1° agosto). Dal 1862 la città, tenuto conto che si estendeva sull’area dell’antica Capua, si chiamò S. Maria Capua Vetere. Bova tratta pure della festa di S. Stefano e scopre che l’altare maggiore della chiesa dei Gesuiti a Capua fu trasferito nella chiesa parrocchiale di Cancello, il pulpito alla cattedrale, la balaustrata alla chiesa di S. Domenico.

     L’Autore pubblica alcune pergamene del Museo Campano, concernenti per lo più Caserta. Accenna alla dedicazione della chiesa di S. Rufo a Capua (17 aprile) e conclude con un ricordo dell’educatrice Loreta Rossetti Bova, medaglia di bronzo della Pubblica Istruzione.

 

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