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Le stragi di civili oscurate

Il silenzio dei nostri media sui massacri di civili in Ucraina orientale è impressionante.

Poche informazioni e poche scene sono state diffuse. Eppure il fuoco di artiglieria dell'esercito ucraino contro le città è stato massiccio e ha provocato non meno morti fra i civili di quelli del contemporaneo conflitto israelo-palestinese a Gaza (secondo un rapporto delle Nazioni Unite "almeno 2.593 persone sono morte tra metà aprile e il 27 agosto"). Ma da Gaza le immagini di distruzione e di stragi sono arrivate e numerose, mentre dall'Ucraina orientale nulla. Eppure altrettanti bambini uccisi e altrettante distruzioni vi sono state. “Sembrano quasi morti di serie B” - ha scritto Fausto Biloslavo - “ancora più dimenticati dopo la denuncia di Human right watch che ha accusato le forze ucraine di usare i potenti, ma imprecisi razzi Grad in zone densamente popolate. Pure i separatisti filorussi non vanno per il sottile, ma la spina sanguinante nel cuore d'Europa è emersa dall'oblio solo con la tragedia dell'aereo passeggeri precipitato”.

E poi ci sono i profughi stimati (fine agosto 2014) in circa 400000, di cui più della metà rifugiatisi in Russia.

 

Foto 1 (pubblicata su Facebook – Amici della Russia 28 luglio - con la dicitura: “conseguenze del bombardamento dell'esercito Ukraino appoggiato dall'Italia, comunità europea e USA sulla città di Gorlovka”).

Foto 2 (autore Nicolai Lilin, pubblicata su Facebook – Amici della Russia 22 agosto).

 

In questa sporca guerra la Russia è stata generalmente presentata dai media occidentali come l'aggressore. La Russia, ad esempio, sarebbe colpevole di aver annesso unilateralmente la Crimea (che, unitamente alla città di Sebastopoli, si è dichiarata indipendente nel marzo del 2014 ed è stata poi integrata tramite referendum popolare nella Federazione Russia) e di aver fomentato e aiutato militarmente i filorussi contro l'esercito regolare ucraino. Tuttavia, anche in questo caso, si tralascia di dire che la Crimea era stata russa dal 1783 al 1954, per essere poi unita alla Repubblica Ucraina (con lo status di Repubblica autonoma) quando questa faceva parte integrante dell’URSS, che il 58,5 % della popolazione è di etnia russa (gli ucraini sono il 24,5 %) e che i russofoni vi costituiscono una quota ancora maggiore.

Così si dimentica di dire che i filorussi, numerosissimi nell’est, rifiutano di far parte di un'Ucraina legata all'Occidente e potenzialmente aderente alla NATO, innanzitutto perché sono russi e russofoni. Ha scritto, a tal proposito, Livio Caputo (“il Giornale” del 24 agosto) che “bisogna prendere atto che le ragioni dei separatisti di Donetsk e Lugansk non sono del tutto campate in aria, e che la decisione di Kiev di riprendere il controllo delle due province con la forza, anziché trattare per concedere loro una maggiore autonomia è perlomeno discutibile. L'esercito di Kiev sta applicando tattiche che rasentano i crimini di guerra, bombardando con aerei e cannoni civili che, anche se dissidenti, sono pur sempre suoi concittadini”.

 

I motivi geopolitici della crisi

Per comprendere la criticità di quanto sta avvenendo, occorre considerare la progressiva espansione della NATO e della UE verso Est, che, come una moderna politica del carciofo, ha eroso, pezzo a pezzo e poco a poco, quello che fino al 1989 era il blocco sovietico.

La cartina evidenzia inequivocabilmente.

Da metà degli anni ’90 i leader russi si sono opposti in modo deciso ad ulteriori allargamenti della NATO. Più di recente, hanno manifestato assoluta contrarietà ad un’eventuale ingresso di Ucraina e Georgia nell’orbita militare ed economica dell’Occidente, per il rilievo che le due repubbliche rivestono in funzione di interessi considerati nevralgici ai fini strategici ed economici.

Che invece la politica perseguita dall’America e dall’Occidente sia stata proprio quella di togliere l'Ucraina dall'orbita della Russia per integrarla nell'Occidente lo ha evidenziato John Mearsheimer, professore di Scienze Politiche all'università di Chicago, sull'ultimo numero di Foreign Affairs. “Lo strumento finale dell'Occidente per staccare Kiev da Mosca – ha scritto - è stato lo sforzo per diffondere valori Occidentali e promuovere la democrazia in Ucraina e in altri stati post-Sovietici, un piano che ha spesso comportato finanziare direttamente persone e organizzazioni”. Il professore ha ricordato che l’assistente del segretario di Stato americano per gli Affari Europei e Euroasiatici, Victoria Nuland, nel dicembre 2013 ha stimato che gli USA hanno investito più di $5miliardi dal 1991 in Ucraina in progetti per "promuovere la società civile" e sostenere le opposizioni dopo la vittoria elettorale di Yanukovich (fonte: la fondazione National Endowement for Democracy - NED). Aggiungiamo che il miliardario americano George Soros ha rivelato a Fareed Zakaria della CNN la propria responsabilità nella creazione di una fondazione in Ucraina che ha contribuito al colpo di Stato contro il presidente Viktor Yanukovich e all’insediamento del nuovo governo (fonte notizia: hangthebankers.com – CNN).

A comprovare l’ingerenza occidentale nella crisi c’è il fatto che il detonatore di essa è stato, nel novembre 2013, il rifiuto del presidente Yanukovich dell’accordo economico che stava negoziando con l'UE a favore dell’offerta Russa di $15 miliardi. Da qui si sono originate le manifestazioni antigovernative (Piazza Maidian) che hanno portato alla fuga del presidente (liberamente eletto – ricordiamolo!) il 22 febbraio e al nuovo governo filooccidentale. Il 27 giugno è stato, quindi, firmato l'«Accordo di Associazione tra Kiev e Unione Europea», dietro cui, secondo Gian Micalessin (Il Giornale del 2 settembre), si nasconderebbe il tentativo di far entrare l'Ucraina nella Nato. Lo stesso giornalista ha segnalato che “accogliendo l'Ucraina la Nato avrebbe potuto chiedere a Kiev di partecipare al progetto dello Scudo Spaziale Europeo e di accettare, come ha già fatto la Polonia, lo schieramento sul proprio territorio di sistemi radar e missili statunitensi con una portata di circa 3000 chilometri”.

Non meno dirompenti sarebbero altri motivi più legati all’economia, come il fatto che l'Ucraina è uno dei principali corridoi energetici, da cui passa il gas russo destinato all’Europa (che ne copre il 30% del fabbisogno), che vi hanno sede almeno 50 aziende produttrici di componenti e parti di ricambio fondamentali per l'industria militare russa e che la sua perdita compromette l’ambizioso progetto geopolitico ed economico di un’Unione Economica dell'Eurasia, cui già aderiscono Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghisia. Ma un altro motivo, convenientemente censurato dalla stampa di regime, è la presenza di depositi di gas di scisto, che i paesi occidentali dovrebbero apprestarsi a sviluppare e che si trovano proprio nel sud est (la zona contesa dai filorussi). Secondo fonti del governo tedesco tali riserve ammontano a 5.578 miliardi di metri cubi (le riserve degli Stati Uniti sono pari a circa 8.976 miliardi di metri cubi) e pare che il controllo sarà dato agli USA.

 

Considerazioni finali

L’ostilità dell’Occidente nei confronti della Russia, al di là e prima di ogni eventuale considerazione su responsabilità russe nella crisi, sta creando una situazione di tensione gravissima. Questo avviene in un momento in cui tanto l’Occidente, quanto la Russia, sono minacciati da quella che si profila come un pericolo gravissimo per la stabilità non solo del Medio Oriente, ma del mondo intero: il terrorismo islamico dell’ISIS.

Pertanto, la contrapposizione frontale fa male ad entrambi.

Inoltre, lo strumento usato fino ad adesso, le sanzioni economiche, ha avuto l’effetto di compattare intorno al suo presidente l’opinione pubblica russa, cui arrivano le immagini di stragi indiscriminate fra la popolazione civile e le prove dell’ingerenza occidentale nella crisi ucraina. Ha invece compromesso le relazioni economiche, inferendo un durissimo colpo non tanto all’economia russa, quanto a quella di alcuni paesi europei, fra cui, in primis, la Germania, l’Italia e la Francia. Per quanto riguarda il nostro Paese, sono almeno 200 milioni all'anno i danni diretti solo per il settore agroalimentare, che l'anno scorso aveva esportato prodotti verso la Russia per una cifra record di 706 milioni di euro. A questi vanno aggiunti i danni indiretti.

Con le nuovi e più recenti sanzioni viene interessato anche il comparto tessile.

Tutto questo in attesa di quello che succederà a novembre quando si avrà bisogno del gas russo per far fronte alle esigenze energetiche dell’inverno.

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