Una notizia sensazionale in campo medico arriva dall'Università di New Castle, dove grazie ad una sperimentazione condotta su 27 pazienti, è stato scoperto che è sufficiente rimuovere meno di un grammo di grasso dal pancreas,  per guarire dal diabete in maniera definitiva. I risultati di questi studi saranno pubblicati sulla rivista Diabetes Care e presentati alla conferenza mondiale "World Diabetes Conference" in corso a Vancouver.

Il diabete di tipo due, o insulino-resistente, è una malattia che sta raggiungendo dimensioni epidemiche nel mondo, specie a causa dell'obesità dilagante. Una cura definitiva oggi non esiste, il paziente deve assumere cronicamente delle terapie per tenere sotto controllo gli zuccheri nel sangue (glicemia).
Gli esperti britannici hanno scoperto che eliminando meno di un grammo di grasso accumulato nel pancreas si può raggiungere la guarigione definitiva.
I medici hanno studiato 27 pazienti obesi, 18 dei quali diabetici, tutti sottoposti a chirurgia bariatrica, intervento (attuabile "riducendo" la superficie intestinale e quindi l'assorbimento dei cibi) indicato per soggetti gravemente obesi che non sono riusciti a dimagrire in altro modo.
Dopo l'intervento tutti i pazienti hanno perso peso e il gruppo di diabetici è guarito anche dalla malattia. Con una speciale risonanza magnetica gli esperti hanno visto che alla guarigione corrisponde sempre una riduzione di circa l'1,2% dei livelli di grasso nel pancreas, pari a qualcosa come meno di un grammo di grasso. A riprova del fatto che la scomparsa del diabete fa seguito alla perdita di grasso pancreatico, i ricercatori hanno constatato che nel pancreas degli obesi non diabetici il volume di grasso restava del tutto invariato prima e dopo l'intervento.
"Indipendentemente dal peso corporeo di partenza e da come si perde peso (seguendo una dieta o con il bisturi) - concludono gli esperti - il fattore critico per guarire dal diabete è semplicemente perdere quel grammo di grasso nel pancreas".

West Nile in Italy. Alta la soglia di attenzione per i diversi casi di contagio da febbre del West Nile, o virus del Nilo occidentale, in Italia. Al momento gli aggiornamenti dello “Sportello dei diritti” circa i contagi della temibile febbre del Nilo Occidentale segnano purtroppo un nuovo record per l'Italia, posizionandola al vertice come numero di casi da contagio nella UE. Sino al 20 ottobre e dal 5 giugno 2015, sono 108 i casi di virus nell'uomo segnalati nell'UE di cui 60 in Italia. Le più colpite le Province con alta popolazione, in particolare Milano, una provincia senza una storia con precedente trasmissione locale. Il virus del West Nile, sottolinea Giovanni D’AGATA, presidente dello “Sportello dei diritti”, non si contagia tramite il contatto con le persone  infette, ma è  trasmesso da zanzare e zecche le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. La zanzara semplice (Culex) a sua volta viene infettata da volatili come cornacchie, corvi, gazze e piccioni.  Il virus quindi, si sviluppa quando una zanzara o una zecca morde un uccello infetto e poi “pizzica” una persona o un animale, i quali sono “ospiti finali”, cioè non in grado di ritrasmettere il virus al vettore.  Le zanzare portano la quantità massima di virus ad inizio autunno, mentre il rischio di contrarre la malattia diminuisce quando arriva il freddo intenso e le zanzare muoiono. Il virus era stato già isolato nel 1937 nel distretto di West Nile in Uganda, dove è stato isolato per la prima volta nel 1937 in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. Negli anni '50 è stato riscontrato in uccelli, zanzare e moscerini in Egitto diffondendosi, infine, anche in altri Paesi e diventando noto solo nel 2002, per aver scatenato un’epidemia negli Stati Uniti.La maggior parte delle persone infette non mostra alcun disturbo o, al massimo, sintomi leggeri quali febbre, arrossamento degli occhi, mal di testa, dolori muscolari, nausea e vomito. Nei bambini è più frequente una febbre leggera. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave determinando, in extremis, casi di meningite. A causa dell’indisponibilità di un vaccino contro l'infezione umana WNV, la prevenzione clinica svolge un ruolo fondamentale nel ridurre la possibilità di esiti gravi della malattia. la popolazione, soprattutto nelle zone colpite, dovrebbe essere informata circa le caratteristiche tipiche della malattia ed agire attraverso strategie di controllo già a partire dall'ambiente domestico.

 

Il consumo di salumi, insaccati e, più generalmente, di carni lavorate, può provocare il cancro e quello della carne rossa (agnello, maiale e vitello compresi) probabilmente pure. E' la conclusione cui giunge uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità.Il fatto d'includere questi alimenti nella lista che comprende anche tabacco e amianto non vuol comunque dire che siano altrettanto pericolosi, commentano gli autori della ricerca.Il rischio di ammalarsi, si sottolinea ancora, è proporzionale al quantitativo assunto. Il carcinoma del colon-retto, una delle forme tumorali più diffuse, può essere una delle conseguenze. "Per un individuo, il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del suo consumo di carni lavorate rimane bassa, ma il rischio aumenta con la quantità di carne consumata," sottolinea Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei diritti”. Il consumo di carne è probabilmente uno dei molti fattori che contribuiscono ad alti tassi di cancro intestinale osservati nelle Americhe, in Europa e Australia occidentale. Tuttavia, si osserva che "non vi è prova del fatto che i vegetariani nel mondo hanno un minor rischio di cancro al colon rispetto ai mangiatori di carne. Possiamo e dobbiamo mangiare carne, ma dobbiamo farlo in modo ragionevole.

E’ la prima volta che viene usato questo trattamento. E' avvenuto all'ospedale Bambino Gesù di Roma e l'articolo è stato pubblicato su Pediatrics. Un bambino di 7 anni è stato salvato da una grave allergia utilizzando per la prima volta al mondo il "lavaggio del sangue" dagli anticorpi responsabili del suo stato stato per il quale i farmaci non erano più efficaci.. Michele era affetto da una gravissima forma di allergia alimentare (latte, uova, pesce, frutta) con asma. Con questo trattamento si apre una nuova strada di cura delle allergie più gravi.

Il trattamento non e' una cura definitiva ma ha permesso per la prima volta di abbassare in modo importante il livello della malattia tenendola sotto controllo e migliorando la qualita' di vita del piccolo che ora sta bene.

 

L’AIFA, l'Agenzia italiana del farmaco, ha disposto il ritiro dal mercato del lotto n. S0009B della specialità medicinale FEMARA*30CPR RIV 2,5MG – AIC 033242013 della Società Novartis Farma SpA. Tale provvedimento si è reso necessario a seguito della diversa numerazione del lotto riscontrata tra il confezionamento primario (blister) ed il confezionamento secondario (astuccio). FEMARAè il nome comune commerciale per l’Italia di un medicinale che contiene il principio attivo (cioè la sostanza che esplica l'azione terapeutica) Letrozolo, ed è disponibile in compresse da 2,5 mg. Il Letrozolo viene usato, da solo o in combinazione con altri farmaci, per il trattamento adiuvante del carcinoma mammario in fase precoce in donne in postmenopausa con stato recettoriale ormonale positivo. Eventuali confezioni in giacenza non devono essere dispensate e dovranno essere restituite. In virtù di tale comunicazione, Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei diritti ”, raccomanda ai pazienti in trattamento con il medicinale di verificare il numero di lotto e, nel caso corrispondesse a quello ritirato, di sospenderne l'uso e di rivolgersi al proprio medico per una nuova prescrizione. Sempre al medico di famiglia gli assistiti potranno rivolgersi per ottenere qualunque tipo di chiarimento sul provvedimento e per avere maggiori informazioni sui motivi che hanno portato al ritiro dal mercato del lotto in questione.  

L'uva spina di Ceylon, popolare in altri paesi per preparare gelatine confetture e sciroppi casalinghi, potrebbe diventare molto più popolare negli Stati Uniti dopo che uno studio ha scoperto che il frutto è ricco di antiossidanti. Il frutto esotico che si presenta come all’incirca sferico e contiene vari semi, potrebbe favorire il prossimo grande passo per combattere il cancro. L'uva spina di Ceylon contiene alti livelli di antiossidanti, che possono ridurre il cancro. I risultati dello studio, rileva Giovanni D'Agata presidente dello “Sportello dei diritti”, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Food Science. Fino ad ora, le bacche più scure come acai e mirtilli erano stati propagandati come cibi con nutrienti superiori alla media per la nostra salute per il loro elevato numero di antiossidanti, che possono giocare un ruolo nella prevenzione di alcuni tipi di cancro, malattie della vista e morbo di Alzheimer. I ricercatori hanno dichiarato che la quantità di antiossidanti, che neutralizzano i radicali liberi che danneggiano le cellule, era stata sottovalutata. E' questa la scoperta realizzata da un gruppo di ricercatori della  Università Statale di Campinas del Brasile, che è la prima al mondo a studiare i benefici dell'uva spina. Non ancora troppo popolare negli Stati Uniti, l'uva spina è mangiata in Israele, America centrale e Sud Africa. La polpa è spesso trasformata in marmellata, ma la maggior parte di antiossidanti, per prevenire e combattere il cancro, è nella pelle, che è ha un alto contenuto di polifenoli. Gli antiossidanti riducono il danno che deriva dall'ossigeno e hanno dimostrato di lenta degenerazione maculare, una malattia dell'occhio che altera la vista. Esistono diverse varietà di uva spina, con frutti verdastri, giallastri o violacei di sapore acidulo e molto adatti alla preparazione di gelatine e confetture. Diffusa in quasi tutta l'Europa fino al Caucaso, alla Siberia e alla Manciuria, in Italia è difficile da trovare, dal momento che è ormai poco diffusa allo stato spontaneo e poco coltivata. Inoltre i frutti hanno basso contenuto calorico e sono adatti anche per chi soffre di diabete.

Richiamati in Germania i vasetti a rischio: è stato l'Ufficio federale della sicurezza alimentare tedesco a lanciare un'allerta alimentare diramando un comunicato. In alcuni lotti del "Risotto ai funghi" (per bambini da 1 anno)", del marchio "Alete" prima del consumo sono state trovate tracce di pezzi di legno. Si tratta dei lotti il cui codice stampato è situato sul bordo del coperchio avente numeri, L 507807414 (data di scadenza 09/2016), L 510507414 (data di scadenza 10/2016) e schienale L 512607414 (data di scadenza 11/2016). Il portavoce della casa svizzera ha inoltre dichiarato che: "Non si può escludere che nel prodotto in questione ci sono pezzi di legno. I clienti dovrebbero prestare attenzione al richiamo e non utilizzare il prodotto." La segnalazione è stata diffusa anche attraverso il sistema di allerta europeo,  questo vuol dire che tutti i Paesi interessati hanno ricevuto la notizia e si  sono attivarti immediatamente per verificare che il produttore abbia ritirato le pappe dagli scaffali di tutti i punti vendita, informando i consumatori. Tutte le confezioni dei lotti interessati in via precauzionale sono state ritirate dal mercato. I consumatori interessati possono contattare il produttore per ulteriori informazioni al numero di telefono "0800-1125205". Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello di diritti” rilanciando l'allerta riportata dal portale del governo tedesco su Lebensmittelwarnung.de, invita i consumatori di astenersi dall’acquisto dei lotti interessati invitando chi lo ha già effettuato a non utilizzare il prodotto e a riconsegnarlo al punto vendita, per il rimborso o la sostituzione. Per evitare futuri problemi, aziende ed autorità non possono dare per scontato che i prodotti alimentari siano tutti e sempre sicuri; servono verifiche sul campo approfondite, sui processi e sui controlli, in laboratorio e a tavolino. Sono episodi del tutto evitabili, se si procede nella maniera giusta. L’altra cosa da ribadire è che i prodotti  "Alete" non coinvolti si possono mangiare con serenità.

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