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È con piacere

che annunciamo la pubblicazione del iv volume delle pergamene aragonesi dell’Archivio Arcivescovile di Capua, a opera di Giancarlo Bova. Il lavoro, preceduto da un’ampia introduzione storica, contiene l’edizione critica di circa duecento pergamene dell’Archivio Arcivescovile di Capua. L’Autore, ben noto per merito alla comunità scientifica di tutto il mondo, è un medievista che lavora sul campo, unico utente dal 1985 degli Archivi capuani, con una competenza unica nella storia del territorio, attraverso la conoscenza di scienze fondamentali per la medievistica (diplomatica, paleografia, archivistica, cronologia, filologia medievale e umanistica). Bova dirige il “Corpus Membranarum Capuanarum”, una Collezione di fonti storiche inedite, rigorosamente storicizzate e fondamentali per la diocesi di Capua, che raccoglie finora in 17 volumi l’edizione di circa 1700 pergamene: longobarde, normanne, sveve, angioine e aragonese di Capua e di Terra di Lavoro.  

    Nell’introduzione lo studioso tratta tra l’altro dei rapporti tra la Capua Vetere (oggi S. Maria Capua Vetere) e i Siriaci, appellati nelle fonti locali Surici, o Surii (ex Suria, de Suria = dalla Siria). La più antica citazione è nel titolo della ecclesia S. Marie cognomento Suricorum (879-880), cioè dei Siriaci. Oggi, grazie agli studi di Bova, sostenuti tra l’altro dal Reallexicon für Antike und Christentum, viene comunemente affermato che «Ebrei e Siriani vivevano a Capua». I Surici, in origine ebrei convertiti di Siria, poi furono confusi con i sullici (topi), a causa della campagna antisemita promossa dagli Aragonesi. Bova, a tale proposito, ricorda per la prima volta come anche la campagna politica hitleriana dipinse gli ebrei come topi, accostamento indegno e odioso, forse dovuto proprio alla diffusione nel mondo germanico, attraverso i longobardi, della leggenda dei sullici dell’antica Capua.

    Lo studioso, dopo aver consultato oltre seicento pergamene inedite, aggiunge una fondamentale e inedita biografia dell’arcivescovo Giordano Gaetano (1447-1496), che incoraggiò artisti locali, tra cui sono citati per la prima volta i pictores Iohannellus de Philippo (di Capodrise), Gregorius Tamborrinus (di Capua) e Fidelis Tamorrinus (di Capua?). Tra i molti meriti del prelato c’è quello di aver fatto stampare nel 1489 a Capua il Breviarium Capuanum e di aver promosso la riparazione del vecchio campanile della basilica di S. Maria Maggiore (iv-v sec.) nella Capua Vetere, antica cattedrale della diocesi (poi concattedrale), dopo la distruzione della Costantiniana (oggi chiesa di S. Maria delle Grazie). In seguito la sede vescovile fu trasferita nell’attuale Capua (metà ix sec.). Il mosaico pavimentale del battistero di S. Maria Maggiore (inizi vi sec.) è collegato da Bova alla simbologia della Pasqua: «È stato merito del Bova collegare il mosaico con la simbologia della Pasqua» (Mario Pagano). Il motivo è una stella a otto punte (“Io sono la luce del mondo” Gv. 8,12), al cui centro c’è un’aquila su un pesce, simbolo dell’anima che viene salvata. L’Autore, riprendendo alcuni suoi studi originali degli anni ’90, tratta inoltre della Perdonanza di S. Maria del 1° agosto, cioè dell’Indulgenza Plenaria per i vivi, che papa Leone i avrebbe concesso alla basilica il 1° agosto 460. Al 1471 risale la versione scritta della Leggenda del principe lebbroso (da cui trae origine la Perdonanza stessa), elaborata in Aversa da Loise De Rosa. Il 1° agosto degli anni tra il 1487 e il 1490 presenziò alla Perdonanza il re Ferrante i d’Aragona. Gregorio xiii nel 1580 concesse alla basilica mariana anche l’Indulgenza Plenaria per i defunti.

    Lo studioso evidenzia per la prima volta anche l’esistenza nella nuova Capua di alcune corporazioni di arti e mestieri, finora sconosciute: i misteria speciarie, i misteria armerii et cultellerii, le artes scalasie e le artes campi et orti. Non è mai documentata però una corporazione di serici (setaioli). Interessante il ricorso del Capitolo della cattedrale di Roccamonfina all’arcivescovo di Capua contro il vescovo di Teano, in cui è citata per la prima volta una Visita Pastorale. Bova, da documenti inediti, tratta poi dei maestri e procuratori dell’Annunziata di Capua e di Marcianise, nonché del “bastoniere”. Non manca un cenno a S. Venera, della quale già nel 2004 il nostro studioso aveva trovato una reliquia nella chiesa di S. Pietro in Corpo a S. Maria C. V. L’Autore tratta inoltre del sito della basilica costantiniana nell’antica Capua. Egli ricorda come il Granata nel 1766 vide i mosaici dei Ss. Pietro e Paolo nella chiesa di S. Maria delle Grazie e non in quella di S. Pietro ad Corpus, come nel 1757 aveva sostenuto erroneamente il Pratilli, noto falsario. Bova, riprendendo un suo studio originale del 2018, ricorda ancora una volta che l’attuale Capua, il 20 maggio 1574, concesse per la costruzione della chiesa dell’Annunziata in Marcianise «150 carra di pietre rotte de bascio delli Borlasci della città». Si tratta delle pietre del 1° piano dell’anfiteatro.   

     Bova ha pubblicato per la prima volta anche studi originali relativi al Sacco di Capua, ai centri di S. Angelo Informis, San Prisco, Casagiove, Casapulla, Gaiano, Cuccagna, Recale, Pontelatona, Pantuliano, Marcianise, alle proprietà del monastero di S. Giovanni delle Monache, ad alcune fontane di Capua, alla coltivazione del lino e della canapa in Terra di Lavoro. Lo studioso nel 2017 ha pubblicato una pergamena del 1285, in cui è citato per la prima volta Agostino Boccaccio, che aveva una terra fuori Porta Roma a Capua, che coincideva all’incirca con quella che nel 1339 terrà in fitto Giovanni Boccaccio. Tenuto conto che un ramo della famiglia de Aquino viveva, oltre che a Napoli e altrove, anche a Capua fin dal x sec., Bova ipotizza per la prima volta che Giovanni Boccaccio abbia potuto frequentare Laura de Aquino (Fiammetta) anche a Capua, oltre che a Napoli.

(CS)

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