n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». Matteo 25,31-46

COMMENTO

L’Anno Liturgico che oggi si chiude è stato  il lungo cammino della Chiesa incontro Cristo.                              Abbiamo  ogni giorno ,in vari momenti ,chiamai tempi liturgici appunto, vissuto il mistero della salvezza reso presente da Cristo vivo in mezzo all’umanità.  Abbiamo percorso come popolo di Dio un grande pellegrinaggio attraverso  i misteri di Cristo che ci appartengono e che siamo stati chiamati a vivere.               Oggi siamo arrivati  innanzi a Cristo che si staglia  al centro  della storia e che  si riconosce Re, non per una monarchia simile a quella terrena, ma Re e Pastore che  si pone accanto ad ogni uomo, pronto  a dare la vita per ogni suo suddito.   Non ha in mano lo scettro del comando,  ma ha in mano il suo cuore aperto,dal quale non partono ordini, ma raggi di amore che illuminano e riscaldano la nostra terra fredda e arida.                   Re e Pastore che percorre il lungo pellegrinaggio della vita insieme alle sue pecore, conoscendole per nome, prendendo sulle spalle le ferite,accostandosi a chiunque ha il cuore ferito  per guarirlo con la medicina dell’amore, e che va al di  là  dell’atteggiamento a volte strane delle pecore stesse.                                                         Ma  è  anche  il Re-Pastore che alla fine dei tempi indosserà la sua veste di giudice per chiedere ad ogni uomo conto del percorso compiuto nel pellegrinaggio nel tempo,  ponendosi lui stesso come misura dell’agire  di carità o meno dell’uomo.. Porrà sul tavolo del giudizio un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un vestito,  un letto di ammalato o una scritta con l’emblema delle carceri, e chiederà a ciascuno di noi se in vita  quel bicchiere l’ avremo usato, quel pane offerto,quel vestito fatto indossare,  se ci saremo avvicinati a letto del dolore del fratello, e se  avremo avuto il coraggio  di  varcare la soglia di un penitenziario senza pregiudizi . Noi forse  saremo lì a meravigliarci,forse impacciati addirittura, o qualcuno  quelli elementi posti dal giudice  sul tavolo non li avrà mai considerati come mezzi per arrivare alla salvezza, perché sarà stato chiuso sempre nel suo egoismo,o avrà addirittura usati gli altri  per ergere  sulle loro vite il  trono del suo orgoglio. Eppure questo esame non dovrebbe essere  un imprevisto,perché Il Re stesso, Gesù, ci ha regalato l’elenco delle domande che ci saranno fatte,e alle quali noi siamo però chiamati a rispondere nel nostro quotidiano.  Infatti il giudizio finale verterà sull’amore.

In  quel giorno, accanto al Re.-Giudice non ci saranno cortigiani , né vedremo dei raccomandati o dei favoriti, ma saremo noi e Cristo Signore, faccia a faccia, a sostenere l’esame dell’amore. E alla fine nel Regno dei cieli, che era pronto per tutti ,entreranno soltanto coloro che hanno percorso  la strada dell’amore,che hanno offerto un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un vestito, una visita ad un fratello in nome di Dio, soltanto coloro che presenteranno la patente dell’amore.                                                                                                                                                       Per non arrivare alle porte dell’eterno con sorprese ci conviene”  di ritornare ad essere artigiani dell’amore perchè Dio ci ha creati per essere tali”

Commento a cura di P .Pierluigi  Mirra  passionista

n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”». (Matteo25,14-30 )

Dire ad una persona che ha un  “talento sprecato” vuol dire  fargli comprendere che molto   di cui ha ricevuto dalla  Provvidenza di  Dio lei non ha saputo o voluto sfruttarlo.  A  ognuno di noi Dio ha consegnato una ricchezza  e ci esorta a sfruttarla con la forza della responsabilità .

La Parabola  evangelica a anzitutto mette in rilievo la generosità e l fiducia del Padre in partenza  nei suoi servi , ai quali affida  seri talenti, forse tenendo conto della capacità iniziale di ognuno,ma anche l’agire dei servi ,i quali, ognuono a modo suo  pensa e cerca di mettere  a frutto ciò che ha ricevuto.                                                                  Sarà questione di sensibilità o di veduta, ma ogni servo agisce, a modo suo, con risultati diversi, che poi vengono ,al ritorno del Padrone, da lui valutati , giudicati, approvati o meno.                                                           L’avvedutezza e la responsabilità dei servi che hanno avuto 5 e 2 talenti, è forte e responsabile:Non perdono tempo a guardasi addosso l’un l’atro per la differenza ricevuta,ma ognuno, nel suo, cercano di far fruttificare quello che hanno ricevuto ,e , alla fine, dal Padrone avranno lo stesso plauso e la stessa ricompensa. Chiamiamo irresponsabile e pauroso il terzo servo? Eppure consegna intatto  ciò che ha ricevuto. Per il padrone ciò che si ha  o si possiede non è per se, è per il b en e di tutta la famiglia,allora bisogna travagliare per far si che  ciò che  si è ricevuto  non rimanga sterile. Non basta possedere   qualcosa  per dirsi sicura  di  poter dire che si è bene vissuto, ma soltanto chi cerca di essere di più, usando quello che si è ricevuto,può dire   di non avere vissuto invano  o nascondendosi per paura di perdere anche quello che ha ricevuto. La pigrizia o il vivere sonnolenti  non da  figli di Dio: Anche nella Prima Lettura la donna  è detta perfetta non opera la sua bellezza,”fugace e illusoria ma per la sua operosità, così S. Paolo nella seconda lettura ci invita ad essere”vigilanti”, cioè ad essere attivi.

Dio nel distribuire i suoi doni  ha avuto una grande fantasia, non ha  fatto tutto o tutti uguali, anche  se  all’inizio di ogni dono c’è sempre il suo amore grande per tutti. Ciò che rende uguali e uniti i figli di Dio non è la possibile uguaglianza, ma l’amore  che  unisce nella diversità. La disuguaglianza  dei dono  implica nel disegno di Dio anche  la comunione e la condivisone tra  i figli di Dio, che poi diventa per tutti testimonianza  dell’amore ricevuto e  che ,ognuno a modo suo, si da. Che bello ascoltare   chi definisce la Parabola dei Talenti la “parabola della creatività”.Agire e amare ciò che  si fa: Ben  il detto della scrittrice americana Mary H.Clark:” Se vuoi essere felice per un anno,vinci la lotteria: Se vuoi essere felice per sempre,ama quello che fai.”

Commento a cura di P. Pierluigi Mirra Passionista.

n quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». (Matteo 23,1-12)

 

COMMENTO

Dopo che in molte occasioni  gli Scribi e i Farisei hanno tentato di   porre in difficoltà  Gesù, ora  sembra che Egli passi al contrattacco, smascherandoli e accusandoli per quello che in verità religiosamente sono.     Nella   I Lettura   il Profeta Malachia  rimprovera gli addetti al culto del Tempio non solo perché retta  non è la loro identità,ma anche di essere  di inciampo a molti con i  il loro insegnamento, profanando così l’Alleanza con il Signore. Gesù nel brano di Matteo indica alla folla coloro che si sono seduti sulla Cattedra di Mosè, e non mettono in pratica quello che insegnano agli altri. Essi”dicono e non fanno”, e tutto ciò che fanno è soltanto apparenza e voglia di  mostrare  il vuoto del loro cuore, che non è pieno di Dio. Cercano i primi posti, gli applausi nelle piazze, ed addirittura non solo di ergersi a Maestri,ma di essere riconosciuto tali dal popolo. Il  vestito che indossano è l’ipocrisia, e il giocare all’apparenza, mascherare le loro opere  fatte con doppiezza e senza sincerità.

In altre momenti Gesù sarà più  duro  con loro, chiamandoli “razza di vipere” e “ sepolcri imbiancati”. Gesù  “tutto sopporta, fuorchè la doppiezza, la falsità,  la sottile astuzia, che fa apparire ciò che non c’è, la pretesa di esigere dagli altri ciò che non si è disposti a fare,l’arroganza del potere al posto della fedeltà del servizio.” Un atteggiamento duro quello di Gesù, anche nel linguaggio, però  potremmo correre il rischio di pensare che ogni cosa è rivolta agli altri, e mai a noi. A volte ci scandalizziamo per ciò che avviene anche nella Chiesa da parte di uomini , anch’essi carichi di povertà umana, e spesso vorremmo chiamarci fuori , fermarci a guardarci le man i e dirci con convinzione che noi le abbiamo pulite.Ma non  sono le mani che debbono essere non macchiate,ma il cuore che deve essere libero e l’interno pulito. Siamo ancora tentati a volere coprire i nostri difetti con i difetti degli altri, le nostre scelte, con gli atteggiamenti errati  messi in atto dagli altri.  Per Gesù è  importante dimostrare nella vita quello che crediamo e abbiamo dentro, riscoprendo e vivendo la coerenza, che ci porta  ad evitare  l’apparire, ma a   coniugare la nostra vita  con il verbo essere, ispirato ai dettami del Vangelo. Ricordo la battuta di Don Camillo: Il mondo è pieno di  gente che predica acqua e beve vino.” Chiudiamo ancora una volta con una frase di Don Mazzolari:”Per me non c’è il Vangelo quando lo si predica, ma quando lo si vive.”

Commento a cura   di    P. Pierluigi Mirra passionista

n quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». ( Matteo22,1-14)

 

COMMENTO

Il tema della vigna nella Parola di Dio offertaci nelle domeniche passate ,ci ha fatto comprendere come Dio ama l’umanità e come intende, pur rispettando la libertà dell’uomo, aiutarlo a far si che  ciò che a lui ha affidato  sia portato a compimento.                                                                                       Oggi  ,centro della parola offertaci, è il banchetto, una grande tavola preparata da Dio  per tutti gli invitati che accettano il suo invito. Un banchetto dove Dio stesso offrirà i suoi prodotti, e il risultato  del tutto sarà la gioia che nasce dalla festa. E di festa  parla anche la Parabola  del Vangelo di oggi. Una grande festa  a cui tanti sono invitati, ma molti rifiutano l’invito, portando ognuno le sue motivazioni. Altri, forse  scocciati  osano addirittura  sfidare il padrone con gesti riprovevoli verso i messaggeri recanti l’invito.                            Alla delusione del padrone si unisce anche la sua ira, e l’ordine  ad aprire a tutti il suo banchetto. Ma  ci sarà anche una condizione :che  nella veste adatta si abbia il biglietto  di ingresso.                                                                                                                                                   Dio  ci ama tanto e vuole renderci partecipi anche della sua gioia. L’invito alla festa è l’invito a partecipare alla sua gioia di Padre che ama i suoi figli, e li ama tutti, perchè tutti gli appartengono. E’ un invito che Egli ci rivolge sempre, e il partecipare è sentirsi parte della sua famiglia. Ma come rispondiamo noi a questo invito?  IL mistero della libertà umana è grande e terribile insieme. Questo grande dono che Dio cin ha fatto ,a volte possiamo usarlo contro Dio stesso. E ciò avviene quando diciamo “no” ai suoi inviti, alle sue premure, ripiegandoci sulle cose ,piccole o grandi, ma cose che passano, e non hanno il marchio dell’eternità. Eppure siamo battezzati, siamo entrati a far parte delle grande famiglia Dio , siamo diventati figli suoi, fratelli di Gesù, membri  della Chiesa e ci è stata promessa una eredità eterna                                                                                                                          Quanti cristiani  ritengono la Messa domenicale un optional  ? Quanti “usano” i Sacramenti come beni di consumo e  gesti soltanto per apparire?  Quanti si servono di Dio forse  per metter in atto azioni che Dio non può assolutamente accettare? Quanti  di cono di credere in Dio e poi si comportano come Lui non ci fosse?                                                                                           Dinanzi all’ennesimo invito di Dio al banchetto, se abbiamo il cuore sporco, corriamo a lavarlo!

Commento a cura del P. Pierluigi Mirra

n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». (Matteo 25,1-13)

 

 

 

COMMENTO

 

Non è una domanda inutile quella che ogni tanto dovremmo porci:  Dove stiamo andando? La realtà che  ci vive intorno ci dice che  l’uomo sulla terra non ha stabile dimora,ma il suo è  un passaggio più o meno lungo, attraverso quello spazio di vita che chiamiamo esistenza. Ma popi c’è uno stop, a volte inatteso, quasi sempre doloroso per il distacco dalla terra e da ciò che su di essa possediamo,per entrare in una dimensione che va oltre il tempo e ci  proietta nell’eterno. La risposta alla domanda  ,se l diamo, non è certamente univoca, perché c’èn chi pensa   che allo stop segue il nulla, chi pensa ad un’altra vita  migliore di quella vissuta,ma con gli stessi elementi, e c’è chi ,crede in Dio e nella vita eterna, e sa che  lo stop è un attimo, un lungo respiro per immergersi di corsa in Dio, e aprire la porta della nostra vera abitazione. Dunque  se non siamo eterni, stiamo andando verso un atto, l’ultimo della vita, che si chiama morte, fine della nostra presenza nel tempo, traguardo raggiunto  dopo il lungo pellegrinare.                                              

Ciò che rende questo ultimo atto  carico di perplessità e di ansia, il non sapere il quando, il come ,il dove vivremo questo ultimo atto.

La  dieci vergini della parabola evangelica sapevano di dover incontrare lo sposo, ma  sul loro orologio non era fissata l’ora… Camminavano insieme, e insieme si trattenevano  sul luogo della sosta,ma alcune di esse, quelle che Gesù chiama “stolte” non avevano previsto il possibile ritardo dello sposo, addirittura  si erano addormentate, mentre l’olio della lampada si consumava .Le “prudenti” invece, erano state previggenti, aveva nell’attesa curato  le loro lampade, attizzandole con l’olio di riserva. Lo sposo arriva all’improvviso e nasce la sorpresa:solo che è pronta con la lampada accesa entra. Le altre corrono al riparo,ma il tempo dell’attesa è scaduto, e  le cinque stolte rimangono  a gridare  fuori .

E’ vero che “è difficile attendere  Dio”, però se si vuole raggiungere la meta e incontrarlo per sempre,l’attesa non deve pesare,ma deve essere vissuta nel compiere  il bene alla luce della fede.                                    

La fiammella della fede che alimenta le nostre lampade nell’attesa deve essere alimentata dall’olio della carità. E poi la nostra vita non una continua attesa di Dio? Allora saperlo attendere, con la sapienza dal cuore che dobbiamo attingere da lui. E ricordiamoci che Dio non accetta le lampade che fanno  solo fumo.

Commento a cura di P .Pierluigi Mirra passionista

n quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (Matteo  22,15,21)

 

Commento

Non è da nascondere che gli scribi e i farisei,nemici dichiarati di Gesù, cercavano in tutti i modi  di mettere in difficoltà Gesù. A volte con delle domande sulla Legge di Mosè, altre volte su questioni cavillose, ma Gesù, spesso dribblava le loro domande, portando esempi o narrando parabole che davano la risposta senza prendere di petto la domanda stessa. Anche nel passo del Vangelo di oggi la domanda è cavillosa:pagare o meno il tributo a Cesare. Dietro la loro domanda si nasconde una vera trappola pseudo politica: se dice no, lo porranno contro l’autorità romana, se dice sì, lo dichiareranno amico di Cesare e nemico de suo popolo.

Ma Gesù come al solito sta  al loro gioco e risponde da Maestro, senza cadere in nessuno inganno:” Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!” Il tributo vale per contribuire  a far sì che lo stato possa lavorare per il bene comune, e Gesù, come ogni cittadino, chiedendo al mare in prestito una moneta , con le mani di Pietro paga il suo tributo, però egli vuole mettere in risalto il significato della seconda parte della sua riposta:”dare a Dio quello che è di Dio!”

Dunque onestà leale verso lo stato,ma fedeltà a Dio,perché solo così il sociale avrà il suo contenuto  di benessere per tutti.

S.Paolo, scrivendo ai Romani è abbastanza esplicito a tale proposito:”Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite,poiché non c’è autorità se non da Dio,e quelle che esistono sono stabilite da Di. Quindi chi si oppone all’autorità,si oppone all’ordine stabilito da Dio .Per questo tutti dovete pagare i tributi. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto..”(13,1-2-6).

Lealtà allo Stato  e fedeltà a Dio!, senza fare confusione tra il trono e l’altare.

Come cittadino appartengo allo stato e come tale devo assolvere con sincerità  tutti i miei doveri, ma come uomo,e molto più come cristiano,appartengo a lui. Di cioè porto dentro lì immagine. E poi la storia”docet” che quando Dio è stato anche centro della vita sociale, il tutto si  è illuminato e ha raggiunto le proprie finalità Gesù,ieri, oggi, sempre è contrario ad una chiesa politicizzata,  così come  ad un governo che nasce nelle sacrestie.

Una fede che intrallazza con la politica non è fede evangelica, come non  lo è un Cesare che crede di essere Dio. Davanti a Cesare posso levarmi il cappello,ma in ginoc chio mi metto solo davanti a Dio. Me lo ha insegnato Gesù.”(A.Dini)

Commento a cura di P. Pierluigi  Mirra passionista

n quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». (Matteo 21,33-43

COMMENTO

La vigna, la grande umanità in cui Dio vive e opera con l’uomo , e chiede  a colui a cui ha affidato con fiducia la gestione del tutto di portare i  frutti di vita,  non tanto per l’utilità del padrone della vigna, ma per la crescita e il bene  di tutti coloro che vi lavorano.

Ma al Dio innamorato dell’uomo e della sua vigna, l’uomo non offre che delusione e ingratitudine , tanto che Dio stesso, addolorato, si chiede attraverso il profeta Isaia:”Che cosa dovevo fare alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica?”

Questa delusione di Dio appare anche nella Parabola del Vangelo, dove la delusione del padrone diventa più sofferta e quasi cruenta ,poiché i  servi lo sfidano a morte ,uccidendogli addirittura il figlio, l’erede. Mentre in Isaia  i vignaiuoli  che trascurano la vigna portandola alla rovina, incarnano il popolo d ‘Israele, nella Parabola evangelica sulla vigna   si addensa l’ombra del Calvario:il,Figlio di Dio è ucciso.                                                                                            Sfrattare Dio dall’umanità  non è un’operazione facile, anche se spesso l’uomo attraverso i secoli  ha speso nelle sue forze nel porre in atto questo intento. Boicottare Dio, significa non vincere ,ma perdere se stessi, annullare la propria origine e il fine della propria esistenza, e riempirsi la bocca di uva selvatica che ti amareggia la vita.

L’uomo triste è l’uomo senza Dio!   IL “no” a Dio produce solo tristezza e solitudine.   Spezzare le tavole della Legge di Dio per sentirsi finalmente liberi, significa lasciarsi incatenare dal male e non ritrovare più il senso della propria esistenza e finire nel baratro più nero. Ma Dio è talmente innamorato dell’uomo , che anche  “punendolo”, come il padrone della vigna, non  lo abbandona. La morte del Figlio  sul Calvario, apparente sconfitta di Dio , e apparente vittoria dell’uomo, si è mutata in vittoria di Dio, che risorgendo dal sepolcro, ha mostrato all’uomo non solo tutta la sua potenza  di “padrone della vigna”, ma anche  che da quella pietra infranta anche per l’uomo, il vero sconfitto, poteva ricominciare il nuovo.

Solo con Dio la nostra persona ha  “un prezzo”, quello della dignità  di Figli di Dio, e di uomini veramente liberi.

Commento a cura del P .Pierluigi Mirra passionista

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