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 Il matrimonio non è più la "sistemazione definitiva": sposarsi, scrive la Corte, è un "atto di libertà e autoresponsabilità". Con la sentenza 11504, depositata oggi

dalla Cassazione e relativa al divorzio tra un ex ministro e una affascinate imprenditrice, i supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la ex moglie chiedeva l'assegno di divorzio già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014 che aveva ritenuto incompleta la sua documentazione dei redditi e valutato che l'ex marito dopo la fine del matrimonio aveva subito una "contrazione" dei redditi. Ad avviso dei supremi giudici, la decisione milanese deve essere corretta in motivazione perchè a far perdere il diritto all'assegno alla ex moglie non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre "superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come 'sistemazione definitiva'" perchè è "ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonchè come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile". "Si deve quindi ritenere - afferma la Cassazione - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale". Dunque una vera e propria rivoluzione della Cassazione sull'assegno di divorzio che fino ad oggi, con 30 anni di indirizzo costante, era collegato nella sua entità al parametro del "tenore di vita matrimoniale", una pietra miliare che da oggi va in soffitta e lascia il posto a un "parametro di spettanza" basato sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge che lo richiede.

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