a cura del dott. Salvatore Ambrosio
Al capo I (“Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale”) titolo XII (“Dei delitti contro la persona”) del libro II (“Dei delitti in particolare”) viene contemplata una categoria di delitti al fine di tutelare il bene maggiore dell’uomo (la vita, l’integrità fisica, la libertà e l’onore).
L’omicidio (hominis caedes) si realizza nell’uccisione di un uomo.
L’assassinio (assassinium) si realizza qualora l’uccisione di un uomo deriva da un’azione vile proditoria o premeditata.
Il beneficio (veneficium) si realizza nel caso in cui l’uccisione dolosa è realizzata mediante il veleno.
A titolo di completezza ricordiamo il parricidio (parricidium), l’uccisione del coniuge (uxoricidio), quello del fratello o della sorella (fratricidio).
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a cura del dott. Salvatore Ambrosio
A mente dell’art. 85 cp (“Capacità di intendere e di volere”): “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
 
La normativa penale vigente prevede situazioni di imputabilità senza responsabilità (legittima difesa, stato di necessità, ecc.).
 
La responsabilità, invece, è così definita dall’art. 42 cp (Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva): “Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (omissis).
 
Con l’espressione capacità di intendere si indica la capacità di comprendere il valore dei propri atti, capacità di valutare l’efficienza causale di questi.
 
Mentre la capacità di volere è la capacità di esprimere una volontà normale, libera di orientarsi tra le opposte pressioni di motivi.
 
Entrambe le capacità presuppongono una certa maturità individuale tanto che la stessa legge fissa come limite anagrafico dell’imputabilità i 18 anni; al di sotto di tale limite si susseguono due condizioni diverse: non è imputabile il minore di 14 anni (art. 97 cp), mentre nell’intervallo tra i 14 anni e i 18 l’imputabilità va dimostrata nel caso specifico (art. 98 cp).
 
In quest’ultimo caso il Legislatore ha tenuto conto dell’estrema variabilità individuale durante l’adolescenza, per cui possono difettare una o ambedue le capacità, sia per scarsa consapevolezza delle conseguenze giuridiche sia per difetto dell’autodeterminismo.
 
Dal momento del compimento del diciottesimo anno, invece, una condotta si presuppone sempre imputabile, fino a prova contraria, ossia fino a che non ricorrano espressamente le condizioni previste dal Codice Penale, costituenti le cosiddette cause “patologiche” di esclusione dell’imputabilità.
 
 
CAUSA DI ESCLUSIONE DELL’IMPUTABILITÀ
 
 
Fra le condizioni patologiche di non imputabilità o di parziale imputabilità, il Codice penale vigente annovera l’infermità – psichica o fisica – che si ripercuote sullo stato di mente:
 
Art. 88 cp (“Vizio totale di mente”): “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”.
 
Art. 89 cp (“Vizio parziale di mente”): “Chi nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.
 
L’essere abnorme psichico si rende pienamente compatibile con l’imputabilità, sostiene il De Vincentis: è noto, ad esempio, il riconoscimento dell’imputabilità medesima nell’epilessia e perfino in talune psicosi. Comunque è chiaro che il giudizio va formulato in concreto, caso per caso, senza classificazioni rigide ed aprioristiche.
 
Altre cause di non imputabilità sono quelle relative all’ubriachezza ed, in genere, all’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, indicate con la qualifica di “tossiche”.
 
Art. 91 cp (Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore): “Non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.
 
Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, la pena è diminuita”.
 
Art. 92 cp (Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata): “La ubriachezza non deriva da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’imputabilità.
 
Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato o preparatsi una scusa, la pena è aumentata”.
 
Art. 93 cp (Fatto commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti): “Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti”.
 
Art. 94 cp (Ubriachezza abituale): “Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è abituale, la pena aumenta.
 
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso delle bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.
 
L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze”.
 
Art. 95 cp (Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti): “Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli aricoli 88 e 89”.
 
La distinzione tra “ubriachezza abituale” e “cronica intossicazione da alcool”, considerata la gravità delle conseguenze che la norma prevede, non è ritenuta agevole sul piano pratico, dalla maggioranza dei medici legali.
 
Ancora più difficile si rivela la differenziazione nell’ambito delle sostanze stupefacenti, per la mancanza di segni se non proprio patognomonici, almeno manifestatamente significativi di quadri specifici o d’intossicazione cronica.
 
Rimane poi da menzionare l’art. 96 cp (Sordomutismo): “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità di intendere o di volere.
 
Se la capacità di intendere o di volere era grandemente scemata ma non esclusa, la pena è diminuita”.
 
 
 

a cura del dott. Salvatore Ambrosio
Non vi è ambito di applicazione Medico Legale (fatta eccezione per taluni e ben circoscritti settori di valutazione) nel quale non risulti indispensabile la preliminare ricerca e dimostrazione del nesso di causalità materiale.
In altri termini al perito Medico Legale è richiesto l’accertamento del rapporto che intercorre tra due fenomeni e – più specificamente – se l’uno (quello posteriore, susseguente o evento) si configura come effetto rispetto all’altro (quello anteriore, precedente o azione/omissione).
Difatti, sovente, la pratica medico-forense implica la necessità di accertare se tra una determinata azione (ovvero omissione) sia medico-legalmente affermabile un legame causale e non una mera relazione cronologica (post hoc, ergo propter hoc!).
D’altra parte, bene nota risulta l’acquisizione relativa ad uno dei requisiti (forse il più appariscente e, comunque, sempre costante) della causa e cioè quello appunto di precedere l’effetto: “questa essenziale caratteristica della causa – comune, però, a qualsiasi antecedente, anche non causale – può deformare la retta valutazione del rapporto di causalità quando il giudizio stesso si fondi soltanto su tale attributo” (Gerin).
Al sol titolo di esempio, giova ricordare l’articolo 40 del Codice Penale che testualmente recita: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.”.
In modo analogo, così recita l’articolo 2043 del Codice Civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Requisiti indispensabili della causa, risultano essere quelli: della necessità e sufficienza.
Il primo dei due (quello della necessità) presuppone che in assenza dell’intervento del fenomeno antecedente, quello susseguente non si sarebbe potuto prodursi; il secondo (quello della sufficienza) implica che il fenomeno antecedente sia dotato di tutti gli elementi necessari per la produzione del fenomeno susseguente.
In ambito penale, l’approfondimento dei legami causali tra un’azione ed un evento (ovvero tra un antecedente ed un susseguente) ha consentito di sviluppare l’evoluzione di diverse teorie.
Secondo la teoria dell’equivalenza delle cause (anche conosciuta come condicio sine qua non) tutte le condizioni di un evento sono rivestite di pari valore e nessuna di esse può essere estrapolata dal complesso, senza mettere in discussione l’evento stesso.
Trattasi di concezione estremamente severa dal momento che, al fine di rendere un soggetto materialmente responsabile di un evento, risulta sufficiente che il medesimo, mediante la sua condotta (commissiva od omissiva) abbia posto in essere una qualsiasi condizione del complesso.
In definitiva, in accordo con tale teoria, per accertare eventuali responsabilità bisognerebbe desumere se l’evento in oggetto si sarebbe ugualmente concretizzato, in assenza della specifica azione/omissione.
A tale teoria si contrappone quella della causalità adeguata; in accordo con tale ultima, andrà opportunamente distinta – di caso in caso – la causa dalla semplice condizione, poiché non sarà ritenuta sufficiente la realizzazione di una condizione qualsiasi dell’evento ma, sarà – parimenti – necessario che la condizione sia stata adeguata, ovvero generalmente idonea a determinarla.
La sussistenza o meno del nesso di causalità materiale, in accordo con la corretta ed Autorevole dottrina medico-legale, sarà affermata previa la verifica di taluni e specifici criteri.
I principali criteri di verifica ad uso medico-legale sono:
1)cronologico;
 
2)topografico;
 
3)di idoneità (adeguatezza qualitativa ed efficienza quantitativa);
 
4)di seriazione fenomenologica;
 
5)di esclusione di altri momenti eziologici;
 
6)statistico ed epidemiologico.
 
Il criterio cronologico necessita l’accertamento relativo ad una compatibilità - intesa per l’appunto sotto il profilo temporale - tra il comportamento imputabile e la manifestazione dell’evento dannoso.
L’estensione del lasso cronologico ritenuta valida potrà essere talora brevissima (traumatismo contusivo – lesione di tipo fratturativo), talora piuttosto lungo (trasfusione – identificazione di agente virale).
L’inadeguatezza del rapporto cronologico permette generalmente di escludere il nesso di causalità; tale inadeguatezza può manifestarsi sia nel senso del difetto che dell’eccesso.
 
A titolo di esempio, inadeguatezza per eccesso potrà essere affermata nel caso in  cui risulti accertata una lesione splenica dopo alcuni giorni dall’evento traumatico oggetto di studio, fatta eccezione per le rotture identificate in quel lasso temporale entro il quale è ritenuta possibile la rottura in due tempi della milza.
 
Inadeguatezza per difetto potrebbe essere affermata nel caso di una accertata positività HCV dopo soltanto pochi giorni da una emo-trasfusione.
 
Il criterio topografico comporta che i fatti morbosi si sviluppino primitivamente nella regione corporea colpita ed eventualmente, solo in secondo tempo (migrazione), si estendano a regioni prossime per continuità o contiguità.
 
Anche questo criterio implica tuttavia un certo margine di aleatorietà: anzitutto il trauma potrebbe aver soltanto richiamato (momento rivelatore) l’attenzione su di un organo già da tempo affetto da una malattia ignorata; in secondo luogo, occorre tener presente l’eventualità di lesioni da contraccolpo.
 
A titolo d’esempio, nel caso in cui venga richiesto al consulente medico-legale la necessità di dirimere il dubbio di un decesso dovuto ad emorragia cerebrale spontanea ovvero post-traumatica, risulterà utile la conoscenza delle più comuni sedi di lesione cerebrale nei casi di traumatismi cranici di natura contusiva.
 
Difatti, i traumatismi a carico della regione frontale causano soprattutto lesioni dirette ove per contro i traumatismi posteriori producono principalmente lesioni da contraccolpo;  i traumatismi applicati in sede parietale producono lesioni dirette, da contraccolpo o entrambe.
 
Il risparmio dei lobi occipitali nelle lesioni da contraccolpo è spiegato dal fatto che la superficie interna delle ossa occipitali e del tentorio è liscia.
 
Il criterio di idoneità (a sua volta distinto in quello di adeguatezza qualitativa e dell’efficienza quantitativa) implica l’indagine se la natura e la concentrazione della causa lesiva sono state tali da poter produrre le manifestazioni rilevate.
 
Il criterio di continuità nella seriazione dei fenomeni comporta la possibilità di stabilire, senza lacune, una concentrazione logica e cronologica tra l’incidenza della causa lesiva sulla vittima e le manifestazioni attuali che ad essa vengono attribuite. Meritano, in questo campo, particolare attenzione le sindromi a ponte che rappresentano l’anello di congiunzione tra la causa e la pienezza dell’evento.
 
Il criterio dell’esclusione di altri momenti eziologici implica l’indagine se i fatti che vengono attribuiti alla causa lesiva che ha agito sulla vittima non debbano invece riferirsi ad altri fattori, da quella indipendenti.
 
 
LE CONCAUSE.
 
A) Concetto di concausa – quando nella seriazione dei momenti in cui si articola una catena causale si inseriscono coefficienti estranei al comportamento dell’agente che tuttavia interferiscono nella produzione dell’evento ultimo, onde questo risulta diverso da quello che era attendibile, data la natura e l’entità di tale comportamento, noi parliamo di concause.
 
Teoricamente la differenza tra causa e concausa sta in questo, che mentre alla prima vengono riconosciuti i requisiti della necessità e della sufficienza nella produzione dell’evento, la concausa è una condizione necessaria ma non sufficiente.
 
Agli effetti pratici e nel campo penale si suole considerare come “causa”, la condizione dell’evento imputabile al comportamento illecito dell’agente e come concause quelle indipendenti dal suo fatto, partendo dal concetto che, a seconda dei casi, il comportamento illecito rompe un equilibrio preesistente, anche se non normale ed instabile ed aleatorio, ovvero gli altri fattori eziologici si inseriscono nella catena causale iniziata da esso, sviluppandola sino all’evento ultimo.
 
Accettato tal punto di vista, appare irrilevante l’eventuale sproporzione tra il comportamento del colpevole e le conseguenze che ne sono derivate.
 
B) Classificazione delle concause – Dal punto di vista medico-legale, le concause si possono distinguere secondo un criterio cronologico o secondo un criterio dinamico.
 
Secondo il criterio cronologico le concause si distinguono in:
 
a)   preesistenti od anteriori;
 
b)  contemporanee o simultanee;
 
c)   consecutive o sopravvenute.
 
Le concause preesistenti si identificano in particolare stato anteriore dell’organismo che ha reso più garvi le conseguenze del fatto imputabile al colpevole.
 
Queste concause preesistenti si possono distinguere in fisiologiche (condizioni), teratologiche e patologiche.
 
Di gran lunga più frequenti delle une e delle altre sono le concause preesistenti patologiche che possono distinguersi alla lor volta in generali e localizzate.
 
Secondo il criterio dinamico, le concause preesistenti possono classificarsi in statistiche ed evolutive.
 
 
 

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