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a cura del dott. Salvatore Ambrosio
Al capo I (“Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale”) titolo XII (“Dei delitti contro la persona”) del libro II (“Dei delitti in particolare”) viene contemplata una categoria di delitti al fine di tutelare il bene maggiore dell’uomo (la vita, l’integrità fisica, la libertà e l’onore).
L’omicidio (hominis caedes) si realizza nell’uccisione di un uomo.
L’assassinio (assassinium) si realizza qualora l’uccisione di un uomo deriva da un’azione vile proditoria o premeditata.
Il beneficio (veneficium) si realizza nel caso in cui l’uccisione dolosa è realizzata mediante il veleno.
A titolo di completezza ricordiamo il parricidio (parricidium), l’uccisione del coniuge (uxoricidio), quello del fratello o della sorella (fratricidio).
A tutela della vita, il codice penale prevede all’art. 575 cp (“Omicidio”): “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21”.
In assenza di dati forieri di diverso elemento psicologico del reato (preterintenzionale ovvero colposo), l’omicidio deve considerarsi doloso.
Omicidio doloso
L’omicidio doloso implica necessariamente l’uccisione di un uomo da parte di un altro uomo.
Gli elementi costitutivi di tale fattispecie di reato, risultano essere : la volontà di uccidere, l’utilizzo di mezzi idonei a realizzare un intento omicida e l’effetto letale.
L’elemento psicologico dell’omicidio doloso, consiste nell’intenzione di cagionare la morte altrui.
L’accertamento medico legale relativamente al dolo, sarà opportunamente rivolto all’idoneità dei mezzi adoperati, le regioni corporee (vitali o meno) attinte, la reiterazione dell’azione lesiva, e così via.
Il fatto materiale di siffatto reato distingue l’azione e l’evento.
L’azione potrà riconoscere tanto una condotta commissiva, quando una condotta omissiva.
Potranno riconoscersi mezzi materiali (armi bianche, armi da fuoco, veleni, ecc.) e mezzi morali (trauma psichico).
L’identificazione dell’evento si realizza con la morte del soggetto passivo del reato.
A titolo di completezza, si elencano le circostanze aggravanti ed attenuanti:
1. si abbia agito per motivi abietti o futili;
2. aver adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone;
3. vi è stata premeditazione;
4. il fatto è commesso contro l’ascendente o il discendente;
5. sia stato  adoperato un mezzo venefico  o un altro mezzo insidioso;
6. si è commesso il fatto per eseguirne o occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé  o ad altri il prodotto  o il prezzo  ovvero l’impunità di un altro reato;
7. il fatto è commesso dal latitante per sottrarsi  all’arresto, alla cattura,  o alla carcerazione, ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;
8. il fatto è commesso dall’associato a delinquere per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione;
9. il fatto è commesso nell’atto di compiere violenza sessuale;
  1. il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o madre; adottivi, il figlio adottivo o contro un affine in linea retta.
Le circostanze attenuanti sono invece, contemplate negli artt. 62-62 bis cp (rispettivamente attenuanti comuni e generiche), 63 cp (“Applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena”), 65 cp (“Diminuzione di pena nel caso di una sola circostanza attenuante”), 67 cp (“Limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti”), 68 cp (“Limiti al concorso di circostanze”).
L’OMICIDIO PRETERINTENZIONALE, COLPOSO E DEL CONSENZIENTE
All’art. 584 cp è previsto e disciplinato il delitto di omicidio preterintenzionale: “Chiunque con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582, cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”.
Gli elementi costitutivi di tale fattispecie di reato possono essere distinti:
1)  soggetto attivo (persona vivente);
2)  l’evento (decesso del soggetto passivo);
3)  l’elemento psicologico del reato (volontà di percuotere o ledere).
Ne consegue che il contenuto di cui al punto 3 (elemento psicologico del reato) differenzia l’omicidio preterintenzionale da quello doloso.
L’art. 589 cp sancisce: “Chiunque cagiona, per colpa, la morte di una persona punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.”.
Ne deriva che l’elemento psicologico del reato si identifica nella volontarietà della condotta colposa dovuta ad imprudenza, negligenza od imperizia (colpa generica), ovvero  ad inosservanza di leggi, regolamenti e discipline.
Anche per l’omicidio colposo, come per altre forme di reato, si applicano le circostanze aggravanti comuni, con aumento della pena fino ad un terzo.
OMICIDIO DEL CONSENZIENTE
L’art. 579 cp prevede, invece, il delitto di omicidio del consenziente, ovverosia l’uccisione di un uomo effettuata con il consenso della vittima; così viene espressamente stabilito: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’art. 61 cp.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
1. contro una persona minore degli anni diciotto;
2. contro una persona inferma di mente o che si trova in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.
Relativamente a tale articolo, l’intenzione del legislatore è rivolta a ribadire che il bene vita è un bene indisponibile e che il consenso non è sufficiente ad escludere l’antigiuridicità del fatto.
ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO
Il termine suicidio, etimologicamente, deriva da sui caedes e consiste nell’uccisione di se stessi mediante una condotta volontaria, commissiva od omissiva.
Il tentato suicidio non è considerato reato.
Al contrario, è reato la partecipazione al suicidio altrui (art. 580 cp), effettuata sia determinando o rafforzando il proposito autodistruttivo sia agevolandone l’esecuzione. Infatti, così recita l’art. 580 cp: “Chiunque determina latri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente
Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità di intendere e di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio”.
Risponde di suicidio agevolato per omissione chi aveva l’obbligo giuridico di impedire il fatto; è il caso dell’infermiere che si astiene dall’interrompere il tentativo di suicidio del paziente.
L’INFANTICIDIO IN CONDIZIONI DI ABBANDONO MATERIALE E MORALE
L’art. 578 cp (“Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale”) recita: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma, si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi. Non si applicano le aggravanti stabilite dall’art. 61 del codice penale”.
Il soggetto attivo risulta pertanto soltanto la madre (reato esclusivo) che uccide il neonato immediatamente dopo il parto o il feto durante il parto (criterio cronologico).
L’espressione immediatamente dopo il parto non è da intendersi letteralmente ma – in senso più ampio – avendo opportunamente riguardo delle circostanze del fatto (es. può accadere che la madre, rimasta priva di sensi, a seguito del travaglio del parto, uccida il neonato appena ripresa la conoscenza).
Ulteriore specificazione è dovuta relativamente al termine di immediatezza riferito all’azione e non già all’evento.
Giova per alto precisare che le condizioni di abbandono risultano riferibili unicamente alla madre e non estensibili in alcun modo a persone a lei vicine che abbiano partecipato al fatto.
È altresì fondamentale, per la stessa sussistenza del delitto, che vi sia stata la soppressione di un feto o neonato vivo, anche in assenza di vitalità cronologica (attitudine del neonato al proseguimento della vita autonoma).
L’assenza di vitalità può derivare da:
1)  cause cronologiche;
2)  cause teratologiche;
3)  cause patologiche.
Tenuto ben presente che la soppressione di un neonato privo di vitalità cronologica, non esclude il reato di infanticidio, risulta ovvio che qualsivoglia indagine medico-legale non potrà prescindere da tale accertamento (l’uccisione di un neonato non vitale riduce la gravità del reato).
Con il termine di docimasie si intendono le prove di vita autonoma.
Tra queste, giova ricordare:
  • docimasie respiratorie (polmonari ovvero extrapolmonari):
a)   docimasia metrica: apprezzamento dell’espansione del torace, misurandone circonferenza e diametri, eventuale inizio di avvenuta respirazione;
b)  docimasia plessimetrica: fondata sul suono chiaro od ottuso ottenuto dalla percussione del torace
c)   docimasia diaframmatica: precisazione del livello cui è pervenuta la cupola diaframmatica; nel neonato che ha respirato discende fino alla VI-VII costa; nel nato morto non oltrepassa la IV-V
d)  docimasia radiologica: rilievo della maggior trasparenza del polmone che ha respirato;
e)   docimasia ottica: (comporta l’ispezione, la palpazione e il taglio dei polmoni); aperto il torace e messi allo scoperto i polmoni, se ne osservano attentamente – anche con l’ausilio di una lente – la sede, il colore, la superficie esterna, i margini, la consistenza, la quantità di sangue contenuta.
f)    Docimasia idrostatica: si verifica se i polmoni, immersi nell’acqua, galleggiano o meno, deducendosi nel primo caso che essi hanno respirato.
  • docimasie non respiratorie:
a)   docimasia gastrointestinale;
b)  docimasia auricolare.

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