In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». ( Giovanni 15, 1-8)
In un vecchio canto di Marcello Giombini (1928-2003) c’era una frase che molto si addice alla Liturgia di questa Domenica e alla riflessione che su di essa andiamo a fare, “Parliamo tanto di Gesù,ma viviamo poco come lui!” . Un lungo chiacchierare a volte il nostro, un grande esporre conoscenze sulle ultime illazioni teologiche o storiche circa la figura di Cristo, ma poi incappiamo in quello che l’Evangelista Giovanni nel brano tolto dalla sua I Lettera afferma categoricamente, esortandoci ad uscire da un tipo si stasi spirituale:” Figliuoli non amiamo soltanto a parole ,nè con la lingua ,ma con i fatti e nella verità.”(cfr.II Lettura) Siamo capaci noi gente di oggi di meravigliarci dinanzi al bello, al buono, ma poi non facciano moi cose belle, e non sempre facciamo il bene “bene”. Quando l’Apostolo Paolo esortava i Colossesi ( 3,1-2) a guardare alla propria dignità di risorti con Cristo, li esortava anche ad agire da “risorti”, a “cercare le cose di lassù”, cioè ad agire con lo sguardo a Dio, a quella patria verso la quale tutti siamo incamminati, e che l’arrivo , riuscito o meno, stiamo costruendo nel tempo che Dio ci dona. Agire con Dio, significa amare come ama Dio, come ha amato Cristo, il quale ha dato tutto se stesso per noi. Si comprende che forse il percorso con Cristo è difficile, e a volte l’umano prende il sopravvento non solo, ma spesso appiattisce anche i nostri buoni desideri. Ecco che ci viene in aiuto l’esortazione di Gesù nel brano evangelico di Giovanni:”Rimanete in me ed io in voi!”. L’invito-segreto della riuscita! E Gesù cerca di spiegarci il tutto con la similitudine del tralcio e della vita. Anche se non siamo esperti vignaiuoli, riusciamo però ad afferrare che il tralcio se non è legato alla vite secca e muore. Non solo non porta frutto, ma è destinato soltanto ad ardere nel fuoco. E’ proprio il suo tenersi legato alla vite che lo fa vivere, dandogli la vite quella’umore, quella linfa vitale che lo fa vivere e portare i frutti propri della vite. E Gesù è molto esplicito nel paragonarsi alla vite che i Padre coltiva ,potando a volte, perché porti più frutti,e definendo i suoi discepoli tralci legati a lui, che per potere portare frutti devono “rimanere in lui”. Ma Gesù ci dice anche che dobbiamo essere tralci vivi, cioè non essere vivi soltanto perché legati alla vita,ma perché anche noi operiamo da tralci, agiamo per crescere, lavoriamo e ci mostriamo vivi, subendo anche noi a volte ,come tutta la vite, la potatura del vignaiuolo supremo, cioè il Padre, perché cresciamo bene. A volte il tralcio si ammala,allora il vignaiuolo interviene per curalo in modo duro, ecco le prove a cui spesso siamo sottoposti dalla Provvidenza di Dio. Altre volte il vignaiuolo vuole incrementare la produzione, ed ecco interviene in modo più soft. Guai però a staccarci dalla vite, faremmo brutta fine, andremmo, come legna secca e morta, ad alimentare per un momento un falò. A volte è anche vero che vorremmo metterci in proprio nell’attività che Dioci offre, ma correremmo il rischio di compiere il lavoro di Dio senza Dio, e sarebbe un lavoro non solo inutile, ma anche dannoso per noi e per i fratelli.
Commento a cura di P. Pierluigi Mirra passionista